La violenza contro le donne, detta anche violenza di genere o femminicidio, inteso in una larga accezione: allarmante problema che riguarda tutte le classi socio-culturali ed economiche, senza distinzione di età, credo religioso o razza, diffuso sia nei paesi industrializzati come in quelli in via di sviluppo. La Dichiarazione sull’eliminazione della violenza contro le donne, approvata dall’Onu nel 1993, art. 1, descrive il fenomeno come: “Qualsiasi atto di violenza per motivi di genere che provochi o possa verosimilmente provocare danno fisico, sessuale o psicologico, comprese le minacce di violenza, la coercizione o privazione arbitraria della libertà personale, sia nella vita pubblica che privata”.
I contorni sono chiari e non si può che registrare un problema, che via via sta assumendo caratteri di gravità crescente e proporzioni enormi, divenendo impellente negli ultimi tempi la ricerca di soluzioni di concreto intervento, mediante una rete di servizi sul territorio, strutture di sostegno, di accoglienza e strumenti di vario tipo volti al contrasto. Tra le misure recenti, si ricorda il Codice Rosso, intervento legislativo dello scorso mese di luglio, che ha cercato su vari fronti di fronteggiare il fenomeno, anche se in realtà ancora non è possibile scorgere una flessione dello stesso.
Oggi in più si aggiunge la particolare gravità del periodo: dunque qual è ora la situazione?
In generale, si registra un significativo incremento soprattutto dei casi di “violenza domestica”.
Tale termine fa riferimento a quel tipo di violenza praticata nell’ambito familiare, dal partner della vittima, il quale mira ad assumere il potere all’interno della relazione, con forme di violenza psicologiche, sessuali, economiche, maltrattando, umiliando, minacciando e svalutando la donna fino ad arrivare a volte all’omicidio. E la cronaca nelle ultime settimane purtroppo ha registrato numerosi casi di violenza di questo tipo, culminati anche con l’uccisione della vittima.
Ma cosa precisamente ha comportato la pandemia da COVID-19? “Restare a casa”, ma con chi?
Come è noto, sono state imposte da parte del Governo stringenti misure, che hanno costretto molti cittadini a rimanere in casa e a limitare fortemente gli spostamenti. Ecco che in tale drammatica contingenza si è evidenziata un’ulteriore emergenza: la violenza sulle donne. Essa ha rischiato di aggravarsi ulteriormente e tale pericolo oggi ha già trovato effettivo riscontro. Le imposte misure di isolamento, di distanziamento sociale e di restrizione alla circolazione, infatti, hanno creato prolungate convivenze forzate, coabitazioni pericolose, che hanno comportato una maggiore esposizione alla violenza domestica, con ulteriori rischi incommensurabili. Inizialmente, si è registrato da un lato un incremento significativo delle richieste di supporto da parte di donne già seguite dai centri e, dall’altro, un calo di denunce e di accessi nei centri antiviolenza delle donne che non avevano prima mai chiesto aiuto: questo non è stato però segnale di una riduzione in generale delle forme di violenza contro le donne, ma di un ulteriore elemento preoccupante in corso, che si è tradotto in un concreto aumento della possibilità di controllo e di aggressione da parte del partner. Oggi, trascorse varie settimane dall’inizio dell’epidemia, il dato è univoco e molto preoccupante: in generale, si è assistito ad una significativa e grave impennata di denunce e richieste di aiuto da più parti. La casa, rifugio umano per eccellenza, dove ci si dovrebbe sentire protetti, sereni e circondati dai propri affetti e dalle proprie comodità, è divenuta per troppe donne un luogo pericoloso.
L’ONU, in un rapporto dello scorso mese, avendo posto l’attenzione sul possibile aumento dei casi di violenza domestica in presenza delle misure restrittive adottate, indicava subito la casa quale probabile luogo di paura ed abuso e, dunque, espressamente sottolineava l’urgente necessità di intensificare tutti gli strumenti di contrasto. La continua condivisione degli spazi domestici ha reso, difatti, gli episodi di maltrattamento più numerosi e gravi, con coinvolgimento anche di bambini ed anziani. A tale situazione si è talvolta aggiunta la difficoltà per le vittime di mettersi in contatto con le Forze dell’Ordine o con i Centri Anti Violenza per denunciare le situazioni o chiedere consigli circa il percorso da intraprendere. Così, proprio per facilitare le denunce in questo periodo di emergenza, la Polizia ha esteso l’App Youpol, realizzata per i casi di spaccio e bullismo, anche per i reati di violenza domestica, permettendo di trasmettere facilmente messaggi ed immagini, oltre la possibilità di chiamare, tramite essa, direttamente il numero 112, al fine di segnalare il fatto alla questura competente per territorio. Inoltre, spesso, l’obbligo di osservare le misure restrittive introdotte dal Governo, quale l’isolamento e la quarantena di alcuni soggetti già ospiti o il divieto di assembramento, ha reso di fatto ancor più difficile l’accoglienza e l’ospitalità nei Centri Anti Violenza e nelle Case di Rifugio. Tale criticità ha indotto il Ministero dell’Interno ad invitare i Prefetti ad individuare, tramite le realtà locali, nuove soluzioni alloggiative, anche di carattere temporaneo, per l’ospitalità delle donne in pericolo. Va pure detto che, in questo periodo, è stata incentivata una mirata campagna di sensibilizzazione e potenziata la pubblicizzazione delle informazioni necessarie alle donne, anche tramite un’intesa con le Farmacie, a cui è stato trasmesso materiale informativo, con indicazioni pratiche ed evidenziazione dei numeri telefonici dedicati. Da non dimenticare, infatti, che è rimasto il numero verde nazionale antiviolenza e stalking 1522, sempre attivo 24 ore su 24, e disponibile anche l’APP, che consente alle donne di chattare con le operatrici e chiedere aiuto ed informazioni in sicurezza, senza correre l’ulteriore rischio di essere ascoltate. Infine, in sede di conversione del D.L. Cura Italia sono state approvate alcune significative misure volte a tutelare le vittime di violenza in questo periodo: strumento principale previsto è stato uno stanziamento di risorse finanziarie per l’anno 2020, volto a finanziare le case rifugio pubbliche e private esistenti su tutto il territorio nazionale, al fine di far emergere il fenomeno della violenza domestica e garantire un’adeguata protezione alle vittime. Fondi, però, che secondo le associazioni e i centri, non sono sufficienti rispetto ai bisogni concreti e dunque emerge chiaramente l’ulteriore necessità di nuove strategie per affrontare la situazione, anche a seguito della riapertura del nostro Paese.
Queste, in sintesi, sono state le misure adottate in questo periodo. Ovviamente è ancora poco. Servono ulteriori risorse e condizioni che assicurino l’efficacia degli strumenti in un momento così drammatico.
Purtroppo la presa di coscienza delle donne è lenta in alcuni casi e, per questo, personalmente ritengo che occorrano interventi più fattivi, anche da parte delle istituzioni più vicine ai cittadini.
Troppo poco è limitarsi a momenti di informazione e sensibilizzazione, seppur necessari, quale la convegnistica sul tema, che peraltro viene svolta solo in apposite giornate dell’anno e vede molte volte la partecipazione di chi non presenta in prima persona il bisogno; non bastano inaugurazioni di panchine rosse o simbolici eventi o omaggi floreali, se non seguiti da misure tangibili volte a valorizzare il ruolo femminile ed aiutare le donne in difficoltà ad uscire giornalmente da situazioni di abuso e costrizione. Occorre, in sintesi, il quotidiano rispetto per le donne e ciò si traduce in interventi concreti, che dimostrino piena responsabilità, cura, ed un impegno non solo di facciata.
Tutti però devono prendere piena consapevolezza del fenomeno. E in questa battaglia il ruolo del genere maschile è molto importante: occorre averne maggiore convinzione. Ancora troppo pochi sono gli uomini che trattano il fenomeno, che partecipano ad eventi sul tema, che s’impegnano per la ricerca di concrete soluzioni al problema, come se esso afferisse esclusivamente al mondo femminile, talchè la donna, in uno spirito di solidarietà femminile, deve esclusivamente prendersene cura sotto ogni aspetto.
E’ un problema, invece, che investe tutti, l’intera società, di oggi e di domani.
Occorre decostruire stereotipi di genere, sovrastrutture ideologiche di matrice patriarcale, che trasmettono asimmetrie tra maschi e femmine, preconcetti duri a morire, anche tramite un linguaggio che da sé diviene spesso veicolo di violenza. E’ necessario non solo offrire l’essenziale sostegno e supporto alle donne in difficoltà ed agire in via sanzionatoria e repressiva, ma urge anche un’efficace azione in via preventiva. Non solo nei confronti delle donne, ma anche verso gli uomini che manifestano “anomalie” di relazione, con misure psicologiche e di ascolto.
E non dimenticare, poi, l’urgente necessità di intervenire sull’educazione, in famiglia e a scuola, fin dall’infanzia, eliminando dai libri, dai giochi, da quanto veicolato dai moderni mezzi di comunicazione, da ogni contesto insomma, dogmi e stereotipi che allontanano da un concetto di parità, intesa come libertà di esprimere la propria personalità al di là del genere; ciò al precipuo fine di evitare che una sedimentazione di errati paradigmi possa sfociare in futuri comportamenti di controllo, sopraffazione, prevaricazione ed anche violenza.
La strada è ancora lunga e tortuosa. E’necessario percorrerla insieme, uomini e donne su tutti i fronti, famiglia, scuola e società tutta. Ma bisogna intraprendere il giusto percorso in fretta, giacchè non si può più attendere o rinviare. Ed oggi più che mai.
Avv. Rossana Ditta