Domenica scorsa molti di noi saranno stati, con molta probabilità, a pranzo da parenti o affini. Nonne, mamme, suocere, zie erano ancora alle prese con tavole imbandite, piatti ed accessori vari. Vassoi di pregiata pasticceria, caffè e amaro per tutti.
Ieri mi sono accorta che era sabato dal notevole numero di foto di pizze – rigorosamente fatte a casa – che sono state pubblicate su Facebook.
Il che mi ha fatto pensare a due cose.
La prima è che, a dispetto della nostra notoria voglia di affollare ristoranti e pizzerie, ci ricordiamo ancora come si fa la pizza. Ci sono persone che mai e poi mai avrei pensato in grado di sfornare pizze, arancine, torte e perfino pasta in casa con tale abilità. Ed io sono tra queste.
La seconda è come ci attacchiamo con viscerale energia alle abitudini e alla ritmata sequenza della nostra vita che, per quanto sia bistrattata ed etichettata come noiosa, ripetitiva, insignificante, è anche l’ancora a cui teniamo attaccata la certezza di essere sempre e comunque noi: dunque alla pizza, il sabato sera, non possiamo rinunciare.
Possiamo mangiarla in videochiamata. Ed è ancora più buona.
E’ passata appena una settimana, dicevo….
Il Covid – 19 mi ha fatto scoprire quanto infinitamente lunga possa essere una settimana. Non ho contato i minuti e nemmeno le piastrelle del pavimento ma ci sono andata abbastanza vicino.
Abbiamo iniziato un’impresa epica, di immani proporzioni che – a dispetto dell’isolamento attuale – non saprei dire quando potrebbe concludersi: la catalogazione delle nostre foto di famiglia.
Anni di smarthphone e whatsapp hanno generato sul computer di casa un’accozzaglia di foto da mettersi a urlare: da quella stupenda di cui avevo detto “Questa la dobbiamo stampare subito” e di cui avevo dimenticato l’esistenza all’infinita serie di fotogrammi con tanto di orecchie da gatto e occhiali di ogni tipo che hanno fatto enormemente divertire i miei figli. Da tutti i minimi passaggi, strade, scorci, marciapiedi, spiagge delle nostre vacanze a quelle con cui possiamo mostrare al mondo che siamo allegri, divertenti e divertiti. Foto di tramonti e selfie che ci tagliano la faccia a metà.
E poi uno si ritrova lì a guardarle una a una cercando di trovare quella con l’espressione migliore. Sperando magari di cancellarne qualcuna.
Dare un senso a questo infinito materiale umano – ve lo ripeto – non sarà da meno del lavoro fatto per mettere insieme l’Encyclopèdie.
Allo stremo delle forze, con gli occhi brucianti, abbiamo spento il computer e tirato fuori, dal fondo di un armadio, una scacchiera.
Ammetto che non ci giocavo da prima dell’arrivo dei bambini. Abbiamo dovuto lucidarla per bene ed ovviamente è diventata… di proprietà dei bambini.
Ne deduco che continuerò a non giocarci. Del resto, se era rimasta nel fondo dell’armadio ci sarà pure stato un valido motivo.
Ed infine, meraviglia delle meraviglie, ho aperto un cassetto. Avete presente quel classico cassetto dove si infila di tutto promettendosi, a bassa voce, magari solo a mente, “prima o poi lo sistemerò”. Ecco, è arrivato anche il suo momento di gloria. Non l’ho sistemato ma ho trovato parecchie cose perse.
Il silenzio? Quello che arriva da fuori è assordante ma se avete dei figli sono certa che non vi peserà più di tanto.
Le serie tv? Solo cartoni animati, grazie.
Un libro? Si, quello della buonanotte che ormai posso recitare a memoria.
E i giocattoli? Storie infinite di pompieri, poliziotti, pirati, principesse, supereroi ed eroine attraversano corridoio, cucina, camera da letto lasciandosi dietro, imperturbabili, le tracce delle loro gesta.
Guardo tutto e penso. Ho tempo.
Il tempo è un dono. Non qualcosa da far passare.
Il tempo va riempito. Di contenuti, gettati come sassolini nell’infinito spazio del tempo che verrà.
Questo mi auguro e vi auguro. Di saperlo riempire.
Alice