“L’incerto e fuggitivo bagliore di tante stelle cadenti si mescola alla luce di qualche stella fissa, questo è l’affascinante scenario che emerge dal mondo del jazz”. E’ con questa citazione dello scrittore accademico giapponese Haruki Murakami che Sergio Filosto, noto medico oncologo palermitano inizia a parlare del jazz e del suo ritorno in scena dopo ben 40 anni sul palco del Brass. Era il 28 aprile 1979 quando Filosto si esibì con il Terranova Jazz Trio nella famosa Cantina di Via Duca della Verdura, e dopo quattro decenni la passione per la musica jazz, ereditata dal padre socio fondatore del Brass, continua più che mai ad essere presente. Aggiunge il medico palermitano che per lui “il jazz è vita, aiuta, dà forza interiore perché permette di spaziare, di essere in una dimensione in armonia con tutto ciò che circonda”. La storia di Sergio Filosto non è l’unica come medico che si dedica nei momenti liberi a suonare. Esistono celebri esempi di medici che sono stati anche grandi musicisti: Theodor Billroth, grande chirurgo tedesco, fondatore della moderna chirurgia addominale, era un musicista di talento, stimato da Johannes Brahms. Medico e compositore fu il russo Alexander Borodin, amico sia di Mendeleev che di Musorgskij, così come il padre della semeiotica percussoria del torace, l’austriaco Joseph Leopold Auenbrugger, fu anche un violinista dotato di straordinario orecchio musicale. Tornando indietro nel tempo, nella “Domus del Chirurgo”, splendida testimonianza della vita di un medico del III secolo, di recente portata alla luce a Rimini, è stata trovata, accanto alla sala degli strumenti chirurgici, una stanza, cosiddetta di Orfeo, destinata alla musica, a testimonianza della convivenza delle due arti. La passione dei medici per la pratica dell’arte della musica è ancora ai nostri tempi così diffusa da aver stimolato la creazione di vere e proprie orchestre sinfoniche formate da medici. Ed ancora ricordiamo gli italiani Enzo Jannacci e Mimmo Locasciulli o l’americano David Soldier noto professore presso la Columbia University Medical Center nei dipartimenti di psichiatria, neurologia e farmacologia. Un binomio perfetto quello della medicina e della musica che proprio a Palermo vedrà protagonista Sergio Filosto con il suo quartetto composto da amici di vecchio data a cui si aggiunge come special guest, un noto nome del mondo jazz, Diego Spitaleri. Continua così con successo la rassegna “Extra Series” con il concerto del gruppo “Sergio Filosto 4th feat. Diego Spitaleri” che andrà in scena giovedì 28 novembre alle ore 21.30 al Real Teatro Santa Cecilia. Grandi amici uniti da un’unica identità legata dall’amore verso la musica. Per ciò il concerto proposto da Filosto può essere definito un album di fotografie. Un album da sfogliare lentamente, cominciando dal bianco e nero un po’ ingiallito delle foto più antiche fino a giungere ai colori vividi e patinati di quelle attuali, assaporando la narrazione efficacemente esplicitata nel titolo: l’incontro, infatti, è quello di amici che si conoscono da sempre, poi si allontanano per le inevitabili vicende familiari e professionali ed infine si ritrovano nuovamente assieme, legati dal piacere di rievocare i tempi trascorsi e dall’affetto sincero che ancora li unisce e che è corroborato da una passione comune tuttora inestinguibile, il jazz. Filosto che si esibirà alla batteria, sarà accompagnato da Marcello Cinà al sax soprano, Toti Mangione alla chitarra semiacustica, Valerio Buscetta al contrabasso e come ospite speciale Diego Spitaleri, che ha accolto l’invito dell’amico di una vita, al pianoforte. Inoltre, la presenza nel gruppo di un musicista di conclamato valore come Diego Spitaleri conferma lo spessore del quartetto e ribadisce che la passione per il jazz è sempre fondamentale. Sergio Filosto, leader del combo, ha iniziato a picchiare sui tamburi fin dal 1973, spinto dalla competenza jazzistica del padre, noto e apprezzato clinico siciliano, e dalla passione condivisa col compagno di scuola Marcello Pellitteri, oggi batterista jazz di livello internazionale nonché docente al prestigioso Berklee College of Music di Boston. Nonostante la proficua frequentazione dei circuiti di Norino Buogo e del Brass Group e nonostante gli interessanti esordi espressi col trio del pianista Piero Terranova (con cui inciderà anche un album), all’inizio degli anni Ottanta Filosto si lascia distogliere dal jazz per dedicarsi completamente a impegnativi studi che poi sfoceranno in una brillante carriera medica di radioterapista oncologo. Il periodo di lontananza dalla pratica del jazz (ma non certo dalla passione con cui ha continuato a seguirne la storia) dura circa trent’anni, ovvero fino a quando le pressanti e affettuose insistenze di Gianni Cavallaro (che Filosto definisce “maestro di tutti i batteristi siciliani”) lo inducono a riprendere in mano le bacchette ed a partecipare con l’anziano ma indomito maestro a jam session sempre più frequenti, sia private che pubbliche. E’ proprio durante una di queste performance intrise di autentica passione jazzistica che Filosto, Cinà, Mangione e Buscetta hanno incontrato Diego Spitaleri, musicista di grande generosità e disponibilità, sempre pronto a suonare tanto coi big internazionali quanto con gli amateurs, e con lui hanno dato vita a questo progetto che rievoca le passioni vissute da ragazzini al Brass Group ma ne proietta l’entusiasmo al presente. Il linguaggio del gruppo è quello del mainstream, la corrente principale del jazz che nel suo scorrere e nel suo continuo rinnovarsi serba memoria dello swing, del bebop, dell’hardbop e di tutto ciò che è poi venuto. Nella scelta del repertorio, infatti, accanto a diversi brani originali (alcuni composti da Diego Spitaleri, altri da Valerio Buscetta) che mostrano il volto più attuale del gruppo, trovano ampio spazio celebri standard della tradizione tratti da artisti e periodi differenti della storia del jazz. Tra questi, ad esempio, c’è “Poinciana”, una magnifica canzone del 1936 di Nat Simon ispirata alla tradizione folk di Cuba, poi divenuta un classico di numerose orchestre dello swing e di molti pianisti (sono considerate di riferimento le ripetute versioni che ne ha dato Ahmad Jamal), “Yardbird suite”, capolavoro del bebop che Charlie Parker aveva composto nel 1946 durante la lunga, esaltante ma anche sofferta permanenza in California, e “Nardis”, celebre tema che Miles Davis aveva creato nel 1958 durante il suo cosiddetto “periodo modale” e che è stata ripreso da moltissimi jazzisti anche se il brano è associato soprattutto alle ripetute e stupende interpretazioni del pianista Bill Evans.