Il 4 settembre alle 19.45 al teatro di Segesta.
Giusy Barraco nasce in Sicilia. Ed è una bambina che corre e gioca con entrambe le gambe. Poi, improvvisamente, disturbi più o meno gravi legati alla deambulazione, costringono lei e la sua famiglia a una serie di “viaggi della speranza” alla ricerca di una diagnosi, e quindi di una cura. La diagnosi arriva, tardi ma arriva. Dejerine Sottas. Una neuropatia sensitivo-motoria per la quale non c’è terapia definitiva. Giusy vede spalancarsi due strade: assecondare l’autocommiserazione meridionale o reagire. Reagisce. Smonta la propria identificazione con la sedia a rotelle e diventa addirittura campionessa para-olimpica di nuoto. In acqua tra me e lei, il disabile sono io. Ma non è solo la storia della campionessa che raccontiamo, ma della donna che si sposa, che vuole vivere una vita normale senza che la diversità venga usata come strumento di “riserva indiana”.
Anche oggi, quando proviamo a parlare di questo spettacolo, ci tocca sentire chi lo collocherebbe “nella giornata del disabile” o in non meglio precisate rassegne a tema. Ma questo spettacolo parla di una vita, Delle due difficoltà e dei suoi entusiasmi. Lo fa per altro dalla prospettiva delle due cuginette, adolescenti, di Giusy. E racconta del dolore la genesi, senza alcun pietismo. Anche questo ci è stato detto, a proposito. Che raccontare una vita che non si rassegna ad essere solo la propria carrozzina, potrebbe essere pietistico. Ma io, da regista, so che il teatro è il luogo giusto per questa storia. Perché il teatro non fa sconti, e non fa leva sul dolore. Lo rende semmai umano. E noi, di una storia che parli di una donna ad altre donne, e agli altri uomini, abbiano comunque bisogno.