La “storia” di Piera Aiello, 51 anni, testimone di giustizia nei processi contro la mafia, eletta alla Camera con il Movimento Cinque Stelle nelle scorse elezioni politiche, è a tutti nota. Piera, nata a Partanna, terra di mafia, sposa negli anni ottanta, Nicola Atria, figlio di Vito e fratello di Rita, anch’essa testimone di giustizia morta suicida qualche giorno dopo la strage di via D’Amelio. Le due cognate, Piera e Rita, si erano affidate al giudice Paolo Borsellino, trucidato con la scorta il 19 luglio 1992, a Palermo e avevano iniziato a collaborare con lo stesso magistrato per fare luce su cosa nostra partannese. Piera Aiello, per motivi di sicurezza è costretta a cambiare nome nel 1997 ed entra nel programma di protezione. E’ costretta a nascondersi con i suoi figli in una località segreta per sfuggire alla vendetta della mafia. Quando decide di candidarsi con i Cinque Stelle, torna a “usare” il suo vero nome dopo 25 anni di silenzio per motivi di sicurezza. Nel momento in cui dichiara di “essere” Piera Aiello, all’anagrafe si chiama in un altro modo ma si candida lo stesso, rompendo quel tabù che l’aveva costretta a tacere. In una nostra intervista (leggi qui) quando era candidata alle elezioni, disse proprio di “rivolere il suo vero” e difatti, era ancora in corso l’iter che le avrebbe consentito di tornare a chiamarsi col suo vero nome. Tra le ” conseguenze” dell’avere una nuova identità, però, c’è anche la perdita di uno dei diritti fondamentali del cittadino: l’elettorato attivo e passivo. I testimoni di giustizia sottoposti al programma di protezione non possono votare perché il certificato elettorale è collegato a quell’identità che hanno dovuto abbandonare.
Ora Piera Aiello è indagata per falso in atto pubblico dalla Procura di Sciacca. L’indagine è scaturita da un esposto in Procura presentato da un’altra candidata non eletta alla Camera che aveva segnalato presunte irregolarità circa l’identità di Piera.
“E’ una storia squisitamente politica, _ha spiegato la parlamentare del M5s_«La mia elezione ha tarpato le ali a qualche avversaria, che si è arrampicata sugli specchi per segnalare irregolarità inesistenti. La mia candidatura è passata al vaglio della Corte di Appello, che naturalmente l’ha accolta. Non ho compiuto alcun atto doloso, questa storia avrà un effetto boomerang per chi l’ha creata». La parlamentare è stata ascoltata dalla Procura saccense che ha acquisito la documentazione fornita dall’Ufficio Anagrafe di Partanna e poi ha chiesto l’archiviazione dell’inchiesta. L’apertura del fascicolo, fanno notare negli uffici giudiziari, è infatti un «atto dovuto» dopo la presentazione dell’esposto.
«Ho dato la vita allo Stato. Per un quarto di secolo sono stata un fantasma, senza un volto ed un nome. E solo chi ha vissuto la mia stessa condizione può capire cosa significhi tutto ciò. Una vita fatta di rinunce e sacrifici».
Tanta amarezza dunque per chi, con coraggio ha superato molte prove e che oggi, paradossalmente, è costretta a difendersi ancora.