«La Natura è un tempio dove pilastri vivi mormorano a tratti indistinte parole; l’uomo passa, tra foreste di simboli che l’osservano con sguardi familiari».
(Charles Baudelaire)
Madre terra, maestosa e immensa, racchiude in sé il mistero più profondo, generando frutti che solo il simbolo può svelare in tutta la loro essenza, nel significato nascosto. Alcuni di essi sono scrigni regali, custodi di dolcezze e preziosità. Aprirli è come ritornare bambini, scoprire piccoli chicchi che donano gioia e un senso di leggera asprezza al palato. La melagrana, il tipico frutto della stagione autunnale è uno di questi e racchiude in sé tali chicchi dal gusto acidulo, rossi e croccanti. Dalla forma tonda come una mela, non è un caso che il nome derivi dal latino “malum” (mela) e “granatum” (grani). Una mela dalla buccia spessa e liscia con, all’interno, numerosi chicchi, piccoli gioielli color rubino, succosi e dalle proprietà benefiche per il nostro organismo, conosciuti fin dall’antichità. La consigliava Ippocrate, medico greco, ai suoi pazienti, come bevanda afrodisiaca e per attenuare fastidi allo stomaco.
La melagrana o “frutto incoronato” come spesso è stato chiamato per la presenza di una curiosa coroncina sopra il frutto, lega analogicamente il frutto alla testa dell’uomo, colma di idee come lo è la melagrana di grani. Un’ unione di tutte le potenzialità presenti in natura e nell’uomo, il “seme di tutti i semi” simbolo di vita e di morte, di rinascita e di sacrificio. Il mito greco narra che Era, gelosissima del marito Zeus, decise di far rapire il dio Dioniso bambino, dai Titani. Il piccolo Dioniso venne così fatto a pezzi e messo a bollire in un paiolo e dal suo sangue-vino germogliò l’albero del melograno. Dal sacrificio, dalla morte, la vita, la fecondità. La leggenda “madre” generatrice della melagrana non è di tipo patriarcale ma matriarcale ed è legata al mito di Persefone, raffigurata con il frutto tra le mani. Mentre la bellissima dea giocava a raccogliere fiori, la terra si aprì e venne rapita da Ade, dio dell’oltretomba. La madre Demetra, adirata, non consentì più ai frutti sulla terra di maturare e scatenò l’inverno per sempre. Zeus, preoccupato, obbligò Ade a liberare Persefone ma prima di abbandonare il regno, il signore degli inferi obbligò la dea a mangiare alcuni semi di melagrana. Mangiandoli ella accettò di trascorrere sei mesi con la madre sulla terra e sei mesi con Ade, come sua sposa, negli inferi. Ogni anno Persefone, così come la natura, abbraccia la morte “apparente” per poi risorgere e la melagrana esprime il legame tra il regno dei vivi e quello dei morti. Nessuna sorpresa: il melograno è anche il frutto della morte, ed è anche testimoniato dall’abitudine degli antichi egizi e dei greci di mettere nelle tombe rappresentazioni di argilla di questo frutto.
Nel dipinto di Dante Gabriel Rossetti, fondatore e uno a dei massimi rappresentanti di quella corrente della pittura vittoriana nota come la Confraternita dei Preraffaelliti, nata nel 1848, Persefone è una bellissima dama e viene raffigurata dopo aver assaggiato la melagrana. Con il frutto in mano, il corpo raccolto su se stesso, lo sguardo consapevole di chi sa il proprio destino, le labbra rosse carminio richiamano il colore dei chicchi del frutto, gli occhi color azzurro la veste indossata. Ai rimandi fa da contraltare il contrasto della pelle bianca con il nero cupo dei capelli: una perfetta dea dell’oltretomba.
Le prime raffigurazioni della melagrana nelle arti, hanno origine antiche; del VII secolo a. C. è una statua conservata al museo di Paestum e raffigura la dea Era con un bambino in braccio che tiene il frutto nella mano destra.
Nel rinascimento si assiste ad una vera e propria celebrazione della melagrana nell’arte. Sublime esempio è la “Madonna della melagrana” di Sandro Botticelli, dipinto a tempera su tavola, datato 1487 e conservato nella Galleria degli Uffizi a Firenze.
L’insieme è di estrema eleganza e bellezza, la Madonna dai grandi occhi velati di malinconia, dalla pelle eburnea, dai lunghi capelli biondi, capricciosi, che fanno capolino da sotto il velo, è il prototipo di bellezza femminile tanto caro al Botticelli e che è stato motivo di ispirazione nell’arte del XIX secolo. Le madonne botticelliane sono delle Veneri in tutto il loro fascino e seduzione, i volti degli angeli rientrano nel repertorio fanciullesco ammaliante del Botticelli. In questo dipinto la madonna e il bambino tengono in mano la melagrana, frutto di fecondità, abbondanza e regalità ma anche del sacrificio di Gesù, dell’ unità della Chiesa cattolica. Il concetto di unità è espresso anche in un altro dipinto “Il ritratto di Massimiliano I” di Albrecht Dürer del 1519.
Il sovrano è ritratto su sfondo verde girato di tre quarti, con la mano sinistra regge una grossa melagrana, simbolo di coesione dell’Impero stesso. L’imperatore, prendendolo in prestito dall’antica simbologia della Chiesa, ne aveva fatto un suo emblema personale, una sorta di portafortuna. Questa bacca rossa nel corso dei secoli è stata una prelibatezza che ha ispirato stranezze. Se la melagrana dovesse intrufolarsi nei nostri sogni cosa generebbe? “Sogno causato dal volo di un’ape attorno ad una melagrana, un attimo prima del risveglio” di Salvador Dalì, dipinto del 1944, è la chiave di risposta alla domanda. Una figura femminile distesa su uno scoglio-basamento, giace nuda in preda ad un’estasi ascensionale, forse causata dalla puntura di baionetta. In alto un’enorme melagrana si squarcia producendo un pesce altrettanto enorme che a sua volta origina due tigri che sembrano avventarsi sulla donna, probabilmente Gala, compagna dell’artista. Dalì, noto rappresentante del Surrealismo, ha raffigurato uno dei meccanismi mentali studiato dal padre della psicoanalisi, Freud, ovvero l’effetto che uno stimolo esterno, in questo caso la puntura di un’ape, percepito mentre stiamo dormendo, produce su ciò che stiamo sognando. Il Surrealismo ha prodotto immagini costruite, come si suole dire, a tavolino. Non sempre si è trattato di sogno, veglia e sonnambulismo ma di associazioni, combinazioni, di rebus.
La storia dell’arte ci offre un racconto ricco di curiosità interessanti, svelandoci, attraverso la magia del simbolo, il mistero della vita e della morte, racchiuso in questo frutto dai chicchi vermigli.
Gianna Panicola