All’esito dell’attività d’indagine condotta dai militari del Nucleo Investigativo del Reparto Operativo del Comando Provinciale di Palermo nell’ambito dell’Operazione “Roccaforte” – che lo scorso 24 gennaio aveva già condotto all’esecuzione di 7 provvedimenti cautelari tra Palermo, Riesi e Rimini – la locale Direzione Distrettuale Antimafia ha emesso 11 avvisi di conclusione delle indagini preliminari per i reati di associazione di tipo mafioso ed estorsioni, consumate e tentate, favoreggiamento personale ed esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza alle persone, con l’aggravante di aver commesso il fatto al fine di agevolare l’attività mafiosa e di essersi avvalsi della forza di intimidazione del vincolo associativo e della condizione di assoggettamento e di omertà che ne deriva.
L’indagine, che costituisce l’esito di un articolato impegno in direzione del mandamento mafioso palermitano di Pagliarelli e, in particolare, della famiglia di Rocca Mezzomonreale, è stata condotta sotto il coordinamento della Direzione Distrettuale Antimafia di Palermo ed ha visto il ricorso alle più sofisticate tecnologie di captazione mediante le quali è stato possibile ottenere acquisizioni di elevatissimo pregio ed assoluta genuinità, definite dal Giudice delle Indagini Preliminari “di estrema rarità nell’esperienza giudiziaria”. È stato in tal modo definito un grave quadro indiziario, sostanzialmente accolto nel suindicato provvedimento, che dovrà trovare in seguito conferma nel corso dell’iter processuale.
In sintesi, le investigazioni hanno permesso di:
– smantellare la famiglia mafiosa di Rocca Mezzomonreale, inquadrata nel mandamento palermitano di Pagliarelli, nonché di confermarne, ancora una volta, le storiche figure di vertice già ripetutamente condannate per il reato associativo;
– svelare l’esistenza, in seno alla predetta famiglia mafiosa, di uomini d’onore riservati rimasti sino a quel momento estranei alle cronache giudiziarie, i quali, pur dimostrando una piena adesione al codice mafioso universalmente riconosciuto da cosa nostra, godrebbero di una speciale tutela e verrebbero chiamati in causa soltanto in momenti di particolare criticità dell’associazione;
– individuare, a fianco dei suddetti, la presenza di ulteriori figure risultate a completa disposizione del consesso mafioso, quali il portiere del complesso condominiale ove risiedeva uno dei principali esponenti della famiglia mafiosa investigata – che si prodigava sistematicamente al fine di consentire allo stesso di mantenere rapporti riservati con altri uomini d’onore – o il geometra gestore di un’agenzia immobiliare della zona che sfruttava la propria vicinanza con il capofamiglia di Rocca Mezzomonreale per intimorire un cliente rimasto insoddisfatto degli esiti di una compravendita;
– intercettare completamente una riunione segreta della famigliamafiosa di Rocca Mezzomonreale al completo, tenutasi per estrema prudenza in una casa nelle campagne della provincia di Caltanissetta; in quel contesto veniva registrato il costante richiamo degli indagati al rispetto delle regole e dei principi mafiosi più arcaici che – compendiati in un vero e proprio “statuto” scritto dai “padri costituenti” – sono considerati, ancora oggi, il baluardo dell’esistenza stessa di cosa nostra;
– scongiurare l’attuazione di un proposito omicidiario, una vera e propria sentenza di morte, emessa nel contesto della predetta riunione di mafia nei confronti di un architetto ritenuto responsabile di una serie di mancanze nello svolgimento della propria opera professionale;
– captare, all’interno di un rudere nella disponibilità della famigliamafiosa investigata, una conversazione di altissimo valore investigativo nella quale veniva tra l’altro ricostruita, nel dettaglio, un’estorsione di notevole entità perpetrata, in concorso tra gli esponenti delle famiglie di Pagliarelli e Rocca Mezzomonreale, ai danni del titolare di una sala ricevimenti posta in prossimità del confine territoriale tra le due articolazioni del mandamento;
– ricostruire il compimento di ulteriori episodi estorsivi – posti in essere al fine di alimentare le casse dell’associazione mediante la richiesta del cd. pizzo o l’imposizione di ditte riconducibili al sodalizio mafioso – uno dei quali caratterizzato dal ricorso ad una metodologia particolarmente inquietante quale l’apposizione, sul cancello di una privata abitazione, di una bambola recante un proiettile conficcato nella fronte.
È doveroso rilevare che gli odierni indagati sono, allo stato, solamente indiziati di delitto, seppur gravemente, e che la loro posizione verrà vagliata dall’Autorità Giudiziaria nel corso dell’intero iter processuale e definita solo a seguito dell’eventuale emissione di una sentenza di condanna passata in giudicato, in ossequio al principio costituzionale della presunzione di non colpevolezza.