martedì, Novembre 19, 2024
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Quasi il 70% degli infermieri soffre di disturbi del sonno o di palesi problemi nel tentativo di addormentarsi

Lo rivela l’autorevole inchiesta della Northumbria University di Newcastle

«Un’autorevole inchiesta condotta dalla Northumbria University di Newcastle, coordinata dal locale dipartimento di psicologia, rivela come, in assoluto, quella degli infermieri, sia tra le professioni che soffre maggiormente di gravi disturbi legati all’insonnia.

II costante aumento delle responsabilità in ambito assistenziale, legato a una crescita dell’autonomia al servizio della tutela della salute del paziente, non fanno certamente il paio, in molti paesi europei, e l’Italia non è certo esente da disagi del genere, con una organizzazione sanitaria degna di tal nome, le cui lacune colpiscono come un boomerang  i nostri operatori sanitari.

Gli infermieri pagano lo scotto di una professione che, non smetteremo mai di dirlo, è assolutamente da considerare usurante, che lascia poco spazio alla vita personale e agli affetti familiari, e che spesso, come accaduto durante il Covid, mette viso a viso con la morte i nostri professionisti. 

Il report dell’università britannica evidenzia come, senza mezzi termini, gli orari lunghi e irregolari di lavoro di molti infermieri, combinati con le esigenze fisiche ed emotive del lavoro, possono rendere difficile per gli infermieri stessi non solo il dormire in se stesso, ma il poter contare su una qualità del sonno indispensabile per rimanere vigili e concentrati, soprattutto per recuperare dallo stress psico fisico dei turni massacranti dei lunghi orari notturni accumulati. 

La privazione del sonno, per gli infermieri, va considerata una vera e propria piaga sociale che le politiche sanitarie non possono ignorare, poiché siamo di fronte ad una professione che richiede di essere vigili e attenti per lunghi periodi di tempo, spesso, come detto con poche opportunità di riposo o recupero.

Le prestazioni sono stabili durante un normale giorno di veglia di 16 ore, ma diminuiscono precipitosamente quando la veglia si estende fino alla notte. 

Questo è il motivo per cui durante i turni di notte gli infermieri corrono il rischio di affaticamento mentale, cali di attenzione, sbalzi di umore e soprattutto aumento degli errori, che ricadono naturalmente  sulla qualità delle prestazioni sanitarie offerte ai pazienti. 

I numeri legati all’insonnia degli infermieri sono davvero allarmanti, esordisce Antonio De Palma, Presidente Nazionale del Nursing Up.

L’indagine rivela che quasi il 70% degli infermieri ne è interessato. 

Ciò può avere gravi conseguenze per il benessere stesso degli infermieri e per la sicurezza dei pazienti, poiché gli individui privati del sonno sono più inclini a commettere errori e sono meno capaci di pensare e reagire rapidamente in caso di emergenza. 

Il sonno è essenziale per la salute e il benessere generale delle persone, soprattutto per coloro che svolgono professioni ad alto stress, fisicamente impegnative come quella infermieristica, e sottoposte a un carico di responsabilità elevato. 

A soffrire maggiormente di problemi di insonnia sono gli infermieri dei pronti soccorsi e quelli delle terapie intensive, dove l’indispensabile prontezza di riflessi che occorre in situazioni spesso a rischio per la vita del paziente, rappresenta per l’infermiere un elevato accumulo di stress psicologico che è difficile da smaltire e che lascia il segno, privando il professionista della necessaria serenità per poter riposare in modo adeguato.

I contenuti di questo report, continua De Palma, non possono non condurci a riflettere sulla delicata realtà del nostro sistema sanitario dove, tra turni massacranti, disorganizzazione e grave carenza di personale, un infermiere di un pronto soccorso si ritrova anche a dover gestire da solo, in determinate circostanze, fino a 20 pazienti in una area triage.

Non aiutano certo le violenze e le aggressioni che sono all’ordine del giorno: un infermiere che subisce nella sua carriera una o due violenze fisiche, pensiamo a una giovane donna, può riportare traumi che si porta dietro per lungo tempo, scorie psicologiche oltre che fisiche difficili da smaltire. 

Il lavoro su turni notturni è un fattore che influisce in modo importante. 

Gli infermieri che lavorano su turni prolungati hanno maggiori probabilità di commettere errori terapeutici, lo sappiamo bene, abbiamo lanciato più volte questo allarme, corrono il rischio di  trascurare segni o sintomi vitali o ancora aspetti importanti della cura del paziente. 

Non solo il sonno è utile per la salute mentale, ma è anche essenziale per il funzionamento cognitivo. La mancanza di sonno può compromettere la capacità di un infermiere di pensare chiaramente e prendere decisioni, il che può essere pericoloso in un ambiente frenetico e ad alta pressione. Inoltre, la privazione del sonno può avere un impatto sulla capacità dell’infermiere di concentrarsi e ricordare informazioni importanti, con il rischio di errori e sbagli di non poco conto.

Direttamente collegata con lo stress e l’insonnia c’è la sindrome di burnout. 

Uno studio correlato alla scarsa qualità del sonno degli infermieri, ci rivela come la situazione a livello europeo è ancor più grave di quanto i dati fin qui a nostra disposizione ci hanno raccontato, evidenziando, come, fino al 69% degli infermieri europei ha sperimentato, almeno una volta nel corso della propria carriera, il burnout infermieristico.

Solo una politica sanitaria costruita su basi organizzative solide, dice ancora De Palma, può mettere nelle condizioni gli infermieri di sopperire alle carenze di sonno e permettere loro di lavorare al meglio delle proprie indubbie competenze, di cui la collettività non può fare a meno. 

Ed è per questo che il nostro sindacato, tra le recenti proposte inviate al Governo, oggi inserisce un indispensabile congedo ordinario aggiuntivo per il ristoro psico fisico degli infermieri e per tutte quelle professioni sanitarie ad elevata responsabilità.

In Italia il 36% degli infermieri dichiara di voler lasciare il luogo di lavoro entro 12 mesi; di questi il 33% dichiara di voler lasciare addirittura la professione, dato che corrisponde a circa l’11% del campione generale.

Le dimissioni volontarie che nel nostro sistema sanitario si registrano a raffica, il clima di sfiducia che regna sovrano tra i professionisti, con un’altissima percentuale di infermieri che se non l’ha già fatto, sta comunque pensando di abbandonare la sanità pubblica, a vantaggio in alcuni casi di una libera professione che consente di gestire meglio il proprio tempo libero, gli affetti e la qualità della propria vita, rappresentano lo specchio fedele di una professione che va salvaguardata, ricostruita, tutelata, dal momento che siamo di fronte, lo ripetiamo, ad una vera e propria piaga sociale che non può attendere oltre per essere sanata», conclude De Palma.

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