“Un detenuto che evade dal carcere di Barcellona Pozzo di Gotto con il più classico sistema degno da film storico, quello delle lenzuola calate dal muro di cinta; un altro detenuto durante il trasferimento a Venezia si tuffa nel canale (viene però ripreso dagli agenti penitenziari buoni nuotatori) tanto per ispirare una nuova trama più spettacolare di film; bande etniche contrapposte che si azzuffano per contendersi il comando del carcere a Termini Imerese; un agente accoltellato nell’istituto di Forlì; un agente ancora ricoverato in ospedale con un timpano forato a Trento; altri 12 poliziotti penitenziari sparsi nei carceri della penisola che hanno avuto bisogno di cure medico ospedaliere: sono i fatti di cronaca condensati in un giorno di ordinaria follia nelle carceri”. Così Aldo Di Giacomo, segretario S.PP., che aggiunge: “purtroppo le giornate di ordinaria follia come questa non sono affatto inusuali, anzi sono diventate la normalità in piena stagione “annunciata” di evasioni e tentativi di fuga, di rivolte nelle carceri e di aggressioni al personale. Il tutto mentre la politica dà il peggio di sé con le polemiche tra maggioranza ed opposizioni a colpi di interviste, articoli di giornali, comunicati per rimballarsi responsabilità che appartengono ad entrambi. Si continua a sottovalutare la situazione esplosiva delle sempre più gravi tensioni in corso, sicuramente aggravata dalle temperature torride e da un clima non solo determinato dal meteo, segnato dai continui tentativi di ridimensionare la polizia penitenziaria. Eppure ci sono già troppi segnali – continua – che vanno solo intercettati per prevenire questa ennesima ondata di violenza dei detenuti. Invece basta una scintilla per scatenare la “prova di forza” di una popolazione carceraria che da troppo tempo ha manifestato atteggiamenti non solo di aggressione ma di sfida quotidiana agli agenti che, soprattutto a causa della normativa sul reato di tortura, hanno poche possibilità di difesa e di reazione. Non deve sfuggire – afferma Di Giacomo – che le rivolte hanno tutte lo stesso sistema e coinvolgono gli stessi detenuti: si comincia con l’incendio in cella di suppellettili per scatenare le violenze; sono soprattutto detenuti con problemi psichiatrici, extracomunitari, i più fragili e ricattabili dai capo clan che li utilizzano per i cosiddetti lavori sporchi all’interno dei penitenziari. L’Amministrazione pensa di risolvere la situazione trasferendo gli autori di violenze e rivolte che, puntualmente, le ripetono nelle nuove carceri. La soluzione invece è una sola: pene severe che hanno prima di tutto l’obiettivo di rompere l’impunibilità di cui godono i detenuti violenti, perché va stroncata la diffusa convinzione dei detenuti di riuscire a farla franca. Si pensi solo che a distanza di più di due anni dalla sessantina di rivolte (primavera 2020) nelle carceri che hanno rappresentato la più forte sfida di sempre allo Stato e devastato i penitenziari, solo pochi processi sono stati celebrati con casi molto rari di condanne. A questo si aggiunga la cronica carenza di organico e l’impossibilità per gli agenti di intervenire per non incorrere nel reato di tortura. Da troppo tempo – afferma Di Giacomo – ascoltiamo promesse di rivedere il reato di tortura che di fatto immobilizza gli agenti costringendoli a volgere l’altra guancia. A completare il
quadro c’è la presenza tra la popolazione carceraria di detenuti con problemi psichiatrici e di tossicodipendenza, in buona parte utilizzati dagli appartenenti a clan ed organizzazioni criminali per commissionare atti di ribellione e violenza. Malati psichiatrici, persone detenute a regime di alta sicurezza, tossicodipendenti e un’umanità varia, tutti ammassati nello stesso luogo. Basta questo a far capire quanto sia ingestibile la situazione. Il nostro – conclude Di Giacomo – è l’ennesimo SOS: siamo appena a metà estate, l’estate è ancora lunga ed è indispensabile un piano di emergenza per prevenire altre rivolte e violenze, con attenzione inoltre ai suicidi”.