Lo statistico, ordinario di demografia presso l’Università di Milano Bicocca ed ex presidente Istat è stato l’ospite d’eccezione dell’ultimo appuntamento del Seminario di formazione all’impegno sociale e politico promosso dal coordinamento “Non possiamo tacere” e dell’Arcidiocesi di Catania. Al centro della sua riflessione temi come l’emigrazione dei giovani meridionali, la denatalità e la povertà educativa«I giovani sono sempre più una merce rara. In Sicilia attualmente sono 4 milioni e 800 mila. Ma le statistiche ci dicono che nel giro di 30-40 anni questo numero scenderà di un milione e a fare da contraltare sarà il raddoppiare degli ultraottantenni. Il capitale umano su cui investire si sta riducendo: e, come se non bastasse, quello che abbiamo, spesso, finiamo per perderlo a vantaggio di altri». Le considerazioni di Gian Carlo Blangiardo fotografano con chiarezza la dimensione di un fenomeno, quello dell’emigrazione giovanile, che da anni rappresenta una delle criticità che più ha concorso a scavare il divario tra Nord e Sud Italia. Il già presidente dell’Istat, ordinario di demografia presso l’Università di Milano Bicocca, è intervenuto questa mattina presso l’Aula Magna del Palazzo Centrale dell’Università di Catania, come ospite d’eccezione dell’appuntamento conclusivo del Seminario di formazione all’impegno sociale e politico, promosso dal coordinamento Non possiamo tacere e dall’Arcidiocesi di Catania, dal titolo I giovani, la famiglia, lo sviluppo del Sud. Una preziosa occasione di riflessione su temi di importanza capitale per il futuro della Sicilia e della città etnea, di cui il gruppo “Non possiamo tacere” e l’Ufficio per la pastorale dei problemi sociali e del lavoro in questi mesi hanno preso a cuore le sorti, offrendo con il Seminario uno spazio di confronto e di approfondimento che faccia da buon viatico alle prossime elezioni amministrative. A moderare l’incontro è stato il giornalista Giuseppe Di Fazio.«È necessario – ha evidenziato Blangiardo – invertire la tendenza che vede il nostro Paese spendere tempo e risorse per formare delle figure che finiscono per generare valore altrove, all’estero o al Nord. Ma la colpa non è certo dei giovani: chi completa la propria formazione si aspetta di poter cogliere delle opportunità. Se non vengono trovate sul proprio territorio, è naturale che ci si rivolga a dei contesti in grado di offrirle. Dobbiamo poi essere consapevoli che questa dinamica, spesso, si rivela irreversibile: quando ci si sposta in giovinezza, è probabile che il luogo d’approdo diventi quello di insediamento definitivo».La cosiddetta fuga dei cervelli, però, è la faccia di una medaglia che comprende anche il fenomeno dei NEET: «Sono tanti – ha sottolineato Blangiardo – i ragazzi che si perdono ben prima di aver completato il ciclo formativo. Nel Mezzogiorno la percentuale di coloro che non studiano e non cercano occupazione arriva addirittura al 32,3%, quasi dieci punti in più della media nazionale. Un giovane con difficoltà ad inserirsi nel mercato del lavoro, chiaramente, fa fatica a trovare la sua strada, a formare una famiglia e quindi a dare vivacità al territorio. È sulla continuità generazionale che si fonda il futuro di un paese: al momento, è proprio ciò che manca nel Meridione».Se la questione giovanile è un cruccio su cui la politica e la società civile sono chiamate a riflettere, non meno rilevanti appaiono i dati sul calo demografico:«Da 7-8 anni continuiamo a stabilire il record per l’anno con il più basso numero di nascite. E le tendenze dei primi mesi del 2023 non sono incoraggianti. Il messaggio che la demografia ci lancia è chiaro e drammatico: qualcosa continua a non funzionare. Meno nati significa meno giovani, meno disponibilità sul mercato del lavoro, meno possibilità di welfare pubblico e familiare. La rete degli affetti, della prossimità, è una componente fondamentale: chi si prenderà cura dei cari che invecchiano?». Guardare oltre i confini, in questo senso, potrebbe essere una strada: «Paesi come Germania, Ungheria e Romania, dopo anni di calo evidente, hanno saputo rialzare la testa. Dobbiamo analizzare in che modo hanno ottenuto questi risultati. Una ragione potrebbe essere di ordine culturale: mediamente, gli italiani desiderano avere almeno due figli, mentre oggi il tasso di fecondità si attesta all’1,24%. I figli sono un bene di tutti e le famiglie andrebbero maggiormente supportate».Un quadro d’insieme non certo incoraggiante, che trova riscontro nel recente rapporto Istat BES 2022 e nell’indagine della Banca d’Italia, secondo i quali, negli ultimi anni, il gap Nord-Sud è persino cresciuto. «Il 60% degli indicatori presi in esame dal rapporto BES per il Mezzogiorno – ha spiegato Blangiardo – rientrano nel livello medio-basso. Tra questi, le competenze dei ragazzi al termine della scuola secondaria di primo grado: la Sicilia è fanalino di coda (il 51,3% mostra gravi lacune alfabetiche, il 61,7% nelle competenze numeriche), con tutto quello che comporta in termini di rischio per la povertà economica ed educativa».Si tratta, forse, di una carenza del sistema formativo? Non secondo Francesco Priolo, Magnifico Rettore dell’Università di Catania intervenuto nel corso del dibattito: «Il livello formativo degli atenei italiani è abbastanza omogeneo. Il punto è che quando ci si iscrive all’università si sceglie un sistema, una città, un luogo in cui vivere, con i suoi servizi, i suoi trasporti, i suoi centri di socializzazione.Nell’ultimo biennio, l’Università di Catania ha registrato +15% e +10% di iscrizioni: stiamo cercando di dare il nostro contributo per ridare slancio al valore aggiunto di questa terra».Non mancano, del resto, motivi per guardare con ottimismo al domani, specie in una città come Catania, che sta puntando molto sul progetto dell’Etna Valley: «Al Sud – ha affermato portando i suoi saluti Gennaro Gigante, direttore della Banca d’Italia – le potenzialità ci sono tutte. Ma bisogna analizzare con attenzione le realtà econometriche e sociali: solo così sarà possibile trovare le soluzioni strutturali per valorizzare il talento».Prospettiva, dunque. Ma anche il coraggio di mettersi in gioco e di nutrire fiducia. Ingredienti essenziali secondo l’Arcivescovo di Catania Mons. Renna: «Le sfide che ci attendono all’orizzonte sono grandi. Ma abbiamo il dovere di sperare, per noi e per gli altri. A maggior ragione da cattolici, tenendo a mente che non giova mai a nessuno, nella strada verso il bene comune, contrapporre un’ideologia ad un’altra. La città ha bisogno di questo. Di qualità della vita e dei servizi. Di realtà maggiormente professionalizzanti. E di percorsi come quello che il Seminario ha tracciato in questi mesi».Parole a cui hanno fatto eco quelle di Claudio Sammartino, già prefetto di Catania e coordinatore del Seminario: «Con il gruppo “Non possiamo tacere” – ha affermato rivolgendosi anche alle numerose personalità del mondo politico locale presenti in platea – abbiamo sentito l’esigenza di non rimanere più a guardare senza agire le ferite di questa città, di dare il nostro contributo di idee. E, in vista anche delle prossime elezioni amministrative, abbiamo chiamato gli altri cittadini a fare lo stesso. Il protagonismo nella vita civile dei cattolici non può prescindere dall’analisi dei temi cruciali. Ed è ciò che il Seminario ha voluto fare. Fiduciosi del fatto che, come diceva Don Pino Puglisi, “se tutti fanno qualcosa, possiamo fare molto”».