Salvo Randazzo, lei è così giovane e ha un curriculum di tutto rispetto. Vuole parlarci delle sue straordinarie capacità vocali, diremmo quasi “uniche”?
«Ho compiuto 33 anni lo scorso 28 giugno e lo festeggiato in aereo perché ero in volo per il Canada, per una tournee. Sono un cantante specializzato in un genere musicale che si chiama pop opera style ed è una fusione fra canto lirico e musica leggera. È una cosa che io ho affinato durante la mia permanenza negli Stati Uniti. Credo che a Palermo io sia l’unico a cantare questo genere perché di solito i cantanti si suddividono o in interpreti di musica leggera o in cantanti lirici. Forse in virtù di un dono di Dio ho la capacità di riuscire a fare entrambe le cose. Riesco a gestire la mia voce come voglio e adattarla nelle situazioni che voglio. Diciamo che è un dono».
Dove è possibile ascoltarla?
«Attualmente svolgo la mia attività al Teatro Massimo di Palermo per cui canto abitualmente l’opera lirica. Metto in scena però diverse produzioni fra cui uno spettacolo chiamato “Meraviglioso Tour” che va in giro per tutta la Sicilia specialmente in estate nei luoghi all’aperto ed è un omaggio a Domenico Modugno e Frank Sinatra, due grandi artisti che hanno accompagnato le generazioni degli anni ’50 fino ai giorni d’oggi. Canto le loro canzoni, brani considerati capolavori della canzone internazionale».
Parlava del Canada poco fa, quando è previsto il suo rientro in Italia?
«Dal 6 al 9 luglio la compagnia del teatro Massimo è stata al teatro greco di Taormina per la nona di Beethoveen con Zubin Mehta».
Per chi va a cantare in Canada?
«In Canada sono andato a cantare per le comunità degli italiani emigrate lì tanto tempo fa. Gli italiani all’estero hanno sempre tanta voglia di ascoltare le canzoni che ricordano loro la terra da cui provengono. I migranti conservano i ricordi, gli antichi valori che hanno portato con loro, sono custodi del passato. Per loro riascoltare le canzoni del passato è rivivere un pezzo della loro indimenticabile giovinezza, i sogni e le speranze. È come fare un tuffo in un passato sempre attuale. È come se la loro terra si spostasse da loro».
È così anche per le nuove generazioni, per i figli degli emigrati nati lì?
«Credo che questo con il tempo si perderà perché i genitori non insegnano nulla ai loro figli che non sanno nulla della cultura italiana perché sono e si sentono americani. Frequentano le scuole americane, mangiano all’americana e ascoltano musica americana».
Invece i migranti sognano sempre di tornare in Italia?
«Molti di loro sperano sempre di potere tornare dal luogo da cui sono partiti. È il desiderio di quelli che vanno via. Ma tutto cambia e se tornano sono destinati a essere delusi però, perché le cose cambiano e non è più possibile riadattarsi al mondo che hanno lasciato tanti anni fa».
Lei è stato in finale a Italia’s got talent nel 2012. Vuol parlarci di questa esperienza?
«È stata un’esperienza incredibile ed inaspettata. Io non avevo scritto per partecipare a questo format. Vivevo a New York in quel periodo. Un giorno durante una pausa in uno studio di registrazione ho letto la mail che mi comunicava che ero stato scelto per una convocazione a Catania. Ero incredulo».
Qualcuno ha scritto per lei?
«Sì e ancora oggi non so a chi devo ringraziare. è un mistero. All’inizio ho pensato che fosse uno scherzo ma ho voluto accertarmi di persona che fosse tutto vero. Ho preso l’aereo e sono arrivato nella città etnea ed è stato subito una girandola di emozioni. Appena arrivato in Sicilia dopo un lungo periodo di assenza si è risvegliata in me la malinconia che avevo accumulato in tutti quegli anni che ero stato fuori. Sono riuscito però a far emergere la parte migliore di me e ad esternare le mie emozioni convogliandole in qualcosa di positivo. Nella prima esibizione ho cantato “Maria”di “West Side Story” che ho collegato al nome di mia madre. In semifinale ho cantato “Caruso” la sera in cui Lucio Dalla morì e sono arrivato primo. Ed è stato per me un’emozione doppia. Ho interpretato uno di quei brani che oggi è diventato uno dei miei cavalli di battaglia. Ho vinto cantando “mamma” per scelta dei produttori, una scelta che io non avrei mai fatto».
Una bella prova direi, brillantemente superata, vero?
«Ma la vera dura prova a cui sono stato sottoposto è la lotta contro il cancro che ho subito e poi superato, vincendo la battaglia contro la malattia. L’ho affrontato, l’ho combattuto, l’ho vinto. Parlando di questo mi sono ritrovato a essere un messaggero di speranza per gli altri ammalati. Mi avevano dato gli ultimi sei mesi di vita e invece non è stato così. è successo alla fine del 2006, inizio 2007. Ho fatto l’intervento il 7 dicembre, la vigilia dell’Immacolata. è qui entra in gioco qualcosa di più profondo, la fede che ho scoperto e rafforzato. Ho scoperto che la cura migliore è dentro di noi. Sono diventato medico di me stesso imponendo alla mia mente che volevo ancora continuare a vivere. La malattia mi ha insegnato a guardare la vita da un’altra prospettiva e a valorizzarla come il dono più bello che il Signore ci possa fare. Adesso sostengo e promuovo diversi eventi di beneficenza che riguardano la ricerca, è un modo per ricambiare il bene, la Grazia ricevuta. L’ho sentito come un dovere morale. Oggi sono il primo testimone dell’AIRC in Sicilia e anche testimonial del reparto di oncologia pediatrica del policlinico di Palermo dove ci sono i bambini. Tutto è scritto. Anche le persone che incontriamo. Nulla accade per caso. È come se facessimo parte di un disegno. È scritto che io debba aiutare gli altri e dare loro coraggio nel superare la prova della malattia».
Cosa le ha insegnato la malattia? è convinto che il dolore renda migliori i migliori e peggiori i peggiori?
«A volte ci disperiamo per banalità per cose inutili, adesso vedo le cose con leggerezza. Spesso permettiamo che il nostro stato d’animo si agiti o soffra per banalità.ma c’è gente che prende per ostacolo tutto, ogni piccola beghe quotidiana».
E adesso qualche domanda frivola. è sposato? Ha figli?
«Non sono sposato e non ho figli. Vivo da solo in una casa a Palermo. Ho avuto esperienze sentimentali sbagliate persone che pensavano di approfittare della nostra relazione per la propria visibilità. Non mi interessano le storielle, le avventure, le cosiddette storie “fast”, mordi e fuggi. Credo nella famiglia e nei valori della vita. Questo mi hanno insegnato i miei genitori a cui devo moltissimo. Hanno creduto in me e mi hanno insegnato a essere serenamente idealista».
So che hai anche la passione per la cucina. È vero?
«Per mantenermi agli studi ho lavorato in un ristorante e ho imparato a cucinare. Tutto serve nella vita, per diventare migliori, per crescere».
Tiziana Sferruggia