Una risposta chiara alle disposizioni della legge113/2020
La Corte di cassazione ha condannato (con sentenza n.39320), il 5 ottobre scorso, a otto mesi di reclusione, sospesa condizionalmente, una donna che aveva schiaffeggiato un’infermiera perché invitata, insieme ad altri familiari, ad uscire dalla stanza del congiunto ospedalizzato perché fuori dell’orario di visita. Una discussione finita in uno scontro verbale e fisico.
“Una sentenza esemplare arrivata dopo la denuncia dell’infermiera che potrebbe arginare la spirale di violenza contro i sanitari ed essere una linfa per chi non denuncia. L’Inail ha segnalato 2.500 denunce all’anno di infortuni sul lavoro per atti di violenza ma a denunciare, secondo l’Anaoo,
sono circa 78% degli aggrediti” ha detto il presidente dell’Omceo di Palermo Toti Amato, consigliere Fnomceo.
“La fermezza delle motivazioni – ha proseguito il presidente – oggi costituiscono il presupposto del riconoscimento del valore della professione di tutti i sanitari, che possono garantire salute solo nel rispetto dell’esercizio delle loro funzioni e dei ruoli, con ‘tolleranza zero’ per qualsiasi atto violento”.
L’Alta Corte, infatti, ha condannato la donna, oltre che per lesioni personali, anche per i reati di resistenza a pubblico ufficiale e interruzione di pubblico servizio, spiegando che “affinché venga integrata la fattispecie di resistenza a pubblico ufficiale, non è necessario che sia concretamente impedita la libertà di azione del pubblico ufficiale. E perciò punibile con la reclusione da sei mesi a cinque anni”.
“Una risposta netta alle disposizioni della legge113/2020. Perché ‘Nessun paese, ospedale o clinica può proteggere i propri pazienti a meno che non mantenga i propri operatori sanitari al sicuro’” ha concluso Amato, richiamando un principio inderogabile dell’Oms.