Gentile Senatore, da quando ho appreso la notizia che, dopo cinque anni di inferno dei quali quasi due trascorsi in prigione, i giudici l’hanno assolta dal reato infamante attribuitole dalla Procura e ribadito dal voto del Senato, ho avvertito, forte, l’esigenza di scriverle per farle giungere la mia solidale vicinanza. Voglio iniziare con lo scusarmi, come cittadino, per ciò che ha subito in questi anni a causa delle condizioni nelle quali versa lo Stato e per il clima sociale che ha consentito e consente che la vita delle persone possa essere spezzata, non solo impunemente, ma con l’applauso di una minoranza “armata” che dimostra di tenere in pugno, non solo le piazze televisive, ma l’aula solenne del Senato divenuta luogo di gogna con la regia di un “ayatollah de noantri”, divenuto allora presidente per volere del capo di quella sinistra “ufficiale” che i nostri padri conobbero a fianco dei deboli e degli oppressi e noi abbiamo imparato a patire come oracolo dei salotti dell’odio e delle congiure.
Poi ho pensato che questa lettera posso più utilmente indirizzargliela rendendola pubblica tramite la grande rete di cittadini che Mezzogiorno Federato sta tessendo, e tramite loro rilanciarla in tutte le occasioni di libertà che mantengono in vita il grande dibattito della società meridionale, a volte tragico per i contenuti ma sempre più forte per consapevolezza e partecipazione.
Questa scelta la faccio perché, a mio avviso, il fatto che lei sia meridionale non è stato indifferente nella vicenda che l’ha colpita.
Infatti, da sempre, accanto alla marginalizzazione del Mezzogiorno operata in tutte le scelte strategiche messe in atto dai governi per sviluppare l’Italia, si è diffusa la credenza di una popolazione di Italiani, quelli residenti a sud di Firenze, magari calorosi e generosi, ma ignoranti e per di più controllati da una delinquenza che per molti versi ne rappresenta l’anima “forte”. A Milano, come a Torino o a Genova, diviene un complimento l’ingiuriosa frase: “non avrei mai detto che Lei era meridionale”, spesso rivolta a quella parte sempre più vasta di popolazione emigrata dal sud che va a coprire ruoli apicali; del resto il successo della farsa cinematografica del personaggio Cetto La qualunque ne è la migliore testimonianza, con l’aggravante che il personaggio pare gradito anche a molti meridionali, dimostrazione di come si sia diffusa la sindrome di Stoccolma.
Sono convinto che se Lei fosse stato bergamasco, il Senato avrebbe letto con attenzione le carte dei procuratori della repubblica, o più probabilmente non avrebbe avuto carte da leggere perché è nel sud che la politica non può non essere collusa con una delinquenza che, per i più, sarebbe endemica.
Mai i cittadini del sud vengono raccontati come vittime di uno Stato che non riesce a sradicare la delinquenza e che, quindi, non garantisce ai cittadini le libertà costituzionali, lasciandoli aggredire dalla violenza che nasce e si rafforza nel bisogno.
E’ più comodo così, è più economico così, serve a giustificare disimpegno e ghettizzazione e probabilmente molti pensano intimamente che dovrebbero essere i meridionali ad armarsi e a liberarsi dalle mafie.
Detto questo vorrei spiegare perché ritengo che i tanti amici che stanno nelle chat di Mezzogiorno Federato, di Unità Siciliana e nelle numerose e coraggiose “nuove piazze” che sono divenuti i giornali online, siano il veicolo migliore per questa lettera di scuse al Sen. Caridi: i blog che popolano la rete sono in grande maggioranza espressioni di autentica passione civile e Mezzogiorno Federato rappresenta sull’intero fronte del dibattito politico un importante unicum perché conduce una battaglia di verità che apre una finestra sulla condizione del Mezzogiorno senza mai indulgere nel pianto o nel ribellismo, dimostrando ogni giorno con maggiore forza come il futuro di questo Paese potrà divenire vincente solo se questi territori verranno resi capaci di affrontare l’appuntamento che aspetta l’Europa nel Mediterraneo.
Quindi, caro Caridi, è assieme a tutti questi amici che mi piace abbracciarla, cercando di trasferirle la mia vicinanza per i 18 mesi lunghissimi di angoscia, di estenuanti silenzi, di abbandono e di disperazione, di notti gelide o bollenti, spesso insonni attendendo i rumori metallici dei controlli; mesi di convivenza ristretta con altra umanità dolente che non riconosci; ma anche per i lunghi cinque anni durante i quali Lei è stato agli occhi della comunità che la circonda un delinquente.
E vorrei qui dirle, soprattutto, che la Sua disavventura deve divenire pietra miliare per la politica da cui lei non deve fuggire, come ho letto abbia detto ed io umanamente ho compreso. Glielo chiedo perché nella sua vicenda non è stato colpito lei solo, ma assieme a lei, fatto che sfugge troppo spesso, sono stati colpiti migliaia di cittadini suoi elettori a cui magistrati e Senato hanno tolto la rappresentanza naturale. Questo fatto, gravissimo, che tutte le costituzioni rendono estremamente raro e molto difficile, in Italia le minoranze dell’odio lo hanno reso bello e popolare, immaginando una riedizione del terrore che diviene anche divertente quando la testa a cadere è “terrona”.
A mio avviso Antonio Caridi dovrebbe continuare a contribuire al dibattito politico, anzi la Sua esperienza deve divenire un elemento utile per dare maggiore forza a chi, questa Italia, la vuole cambiare.
Salvatore Grillo