Il regista Giancarlo Montesano, fratello dell’attore Enrico, originario di Roma, da tempo residente a Marsala perchè legato sentimentalmente a una marsalese, sta lavorando alla realizzazione e alla produzione di un nuovo film girato tra Marsala, Mazara del Vallo e Trapani. L’abbiamo intervistato per farci raccontare il suo nuovo progetto.
C’è in cantiere un film in cui recitano soltanto attori siciliani?
«Questo progetto è una scommessa. È una storia scritta da me, un soggettino da cui ho ricavato una sceneggiatura. Tratta di argomenti che sono al di fuori degli stereotipi della Sicilia. Non si parla di mafia, né di ammazzatine. Parlo di clochard, di marinai abbandonati sulle loro navi e di una coppia mista con tutte le conseguenze che questo vivere comporta. Vite apparentemente lontane e che però si intrecciano fra di loro. Hanno in comune le difficoltà del vivere. C’è un barbone che vive a Milano e ha perso tutto e vive chiedendo l’elemosina. La sua unica consolazione è l’amicizia con un altro che ha scelto di vivere come lui. A Milano però, la notte fa freddo, e qualcuno muore. Vedendo quello che accade intorno a lui decide di tornare nella terra da cui è originario per morire nei luoghi amati, familiari. Ed è vero, vi recitano soltanto siciliani. Tony Sperandeo, Domenico Gennaro, Maurizio Bologna, ma anche Enzo Campisi e Giorgio Magnato, tanto per citarne alcuni».
Dove è ambientato?
«Nella fascia costiera fra Mazara, Marsala e Trapani».
Ci parli di questa nave e di questi marinai.
«Una nave in transito sul canale di Sicilia e un barcone carico di migranti, carico di vite, di dolore, di speranze. I migranti per farsi salvare dai marinai, rovesciano il barcone. Ma molti affogano. È una scelta disperata, estrema. Ma i marinai non restano indifferenti. Il capitano, un libanese, si getta in mare e salva un giovane uomo. Poi la nave arriva sulle coste mazaresi e inizia la storia d’amore all’inizio un po’ complicata perché lei è già fidanzata. Ma la storia è fortemente voluta e insieme vinceranno le ritrosie, le perplessità anche dei genitori di lei che non vedono di buon occhio la diversità apparente dei due giovani».
È una sorta di “Indovina chi viene a cena”?
«In un certo senso sì. Spencer Tracy lo raccontò quarant’anni fa e le cose come vedi si ripetono».
Che cosa accade ai salvatori diciamo così dei migranti naufraghi?
«La nave viene sequestrata dal tribunale perché non ha pagato i debiti, il carburante. E resta parcheggiata in una zona poco frequentata del porto proprio per non destare problemi al flusso delle imbarcazioni. L’equipaggio vive grazie alla generosità della gente del luogo, alla solidarietà della gente di mare».
Poi le storie si intrecciano come ha detto?
«Sì, i clochard che tornano in Sicilia vengono accolti dall’associazione che ha aiutato anche i migranti. Ma il clochard muore in seguito ad una malattia che lo ha logorato».
Sofferenza, accoglienza, solidarietà, integrazione. I temi sono questi, giusto?
«Integrazione significa che chi viene è giusto che mantenga le sue abitudini, che non vi debba rinunciare ma deve farlo nel rispetto delle nostre leggi. Non se hai letto che a Londra c’è un tribunale della sharia. Questo è sbagliato. L’Inghilterra è un paese che ha una democrazia consolidata. Un esempio di sana convivenza è Mazara del Vallo. Si può sentire il muezzin che chiama i fedeli ma questo non rappresenta una prevaricazione. Il problema sono i fanatici che vogliono imporre la propria religione. Ma noi italiani, facciamo pochi figli per questo, col tempo, diventeremo una minoranza».
Come mai è venuto in Sicilia?
«Sono venuto anni fa a Palermo a girare un film di Roberta Torre. Poi ho girato con Damiano Damiani “Pizza Connection” nell’85. C’erano Michele Placido e una giovanissima, quasi bambina, Simona Cavallari. Io facevo il direttore di produzione. Damiani era uno che non ti regalava niente e a Palermo l’aria era pesante. Erano gli anni dei morti ammazzati quasi quotidianamente. è stata invece una bella esperienza. La produzione era di Rita Rusic».
La Sicilia è un set naturale?
«In realtà in Sicilia il cinema non si fa. Il cinema viene da Roma, gira, lascia un po’ di soldi e poi va via. Noi invece vorremmo creare una scuola di formazione per potere obbligare chi viene a girare qui a prendere la maestranze del luogo. Poi vivere a Palermo mi ha stancato e sono venuto a Marsala dove mi trovo benissimo. Ho girato dei documentari per la regione Sicilia e sono stato direttore del teatro di Termini Imerese. Ho lavorato con Massimo Troisi e con lui ho fatto “Ricomincio da tre”. Ho lavorato nel film “Joan Lui” con Adriano Celentano e Claudia Mori, per diciotto settimane, ballerini, cantanti ed effetti speciali. Uno dei film più costosi mai girati in Italia. Diciotto miliardi e gestirli non era facile».
Com’è Adriano Celentano?
«Io mi sono trovato bene ma nessuno poteva mettere bocca, neanche Cecchi Gori. Sceglieva tutto lui. Il film è lui. Il clan di Celentano veniva da Milano. Lui faceva l‘attore, il cantante, il musicista, il montatore, tutto insomma. Per me è stata una grande esperienza ma il successo del film è un’altra cosa».
Lei si occupa di politica?
«Qualche tempo fa, ho aperto a Marsala insieme a Giacomo Manzo, la sede dell’associazione “Fare ambiente” che si occupa di ambiente. Abbiamo organizzato una magnifica regata nel 2012 al porto di Marsala. Il nostro intendimento era quello di farla durare nel tempo e farla diventare un appuntamento. La provincia non ci ha pagato, ci abbiamo rimesso. Volevamo fare una piccola Barcolana come quella che si svolge a Trieste. Ed è una regata nata per scommessa fra i soci di un club nautico. Noi abbiamo fatto venire Francesco De Angelis che in una conferenza stampa ha dichiarato che qui potremmo regatare praticamente sempre. C’è un mare splendido e un vento costante. Ci sono molte possibilità ma Marsala è una città che vivacchia. L’imprenditore non investe facilmente. Anche in questo film ho trovato più riscontro a Mazara del Vallo e a Trapani. Mancano gli sponsor. Montalbano ha portato soldi, turismo legato ai luoghi del commissario appunto. Ci sono turisti che vengono da tutte le parti del mondo per vedere la casa sulla spiaggia. Io ci sono andato. È quasi un bluff, sembra un posto idilliaco ma in realtà non è così. Ma il cinema è sogno si sa, e ti fa vedere quello che vuole.»
E lei lo fai per questo?
Certo. E questo è il film della mia vita.
Tiziana Sferruggia