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Arte oggettiva, gusto artistico e valori estetici spiegati da Paolo Battaglia La Terra Borgese

Picasso sosteneva che il peggior nemico della creatività è il buon gusto, ma il gusto artistico è tutt’altra cosa.

Il gusto artistico è la facoltà che possiede l’uomo di cogliere i valori estetici delle cose. È il particolare atteggiarsi del giudizio sulle cose in quanto queste non corrispondono ad un ideale di verità, di bontà o di utilità, ma bensì di bellezza.

Il termine cominciò ad essere introdotto nel linguaggio della critica letteraria ed artistica nel sec. XVIII; e il rilievo di un’autonoma facoltà di giudizio, che la parola «gusto» voleva indicare, era in corrispondenza a un generale rinnovamento delle idee estetiche. Che il bello fosse raggiungibile attraverso una particolare facoltà, distinta dalla ragione e dall’intelletto, voleva dire che il bello stesso veniva concepito non più come razionalità, ordine, proporzionalità geometrica. Si riconosceva insomma che l’esperienza estetica è diversa e autonoma rispetto alla conoscenza e alla morale, con le quali veniva prima confusa o identificata. Per questo si dice che la scoperta del gusto è un momento fondamentale del processo attraverso il quale si è pervenuti al concetto di autonomia dell’arte.

Certo è molto difficile, da un puro piano psicologico, svolgere compiutamente il significato del concetto di gusto. Esso non va inteso nel senso tradizionale di facoltà recettiva, ma piuttosto deve venir concepito come attività, funzione, atteggiamento dell’uomo di fronte alle cose. È un porsi particolare dello spirito di fronte alla realtà.

Questo atteggiamento non è però identico in tutte le epoche e neppure in tutti gli uomini dello stesso tempo: da ciò l’antica massima: «de gustibùs non est disputandum» (sui gusti non si discute).

Noi cogliamo delle bellezze nelle cose e nelle opere d’arte giudicando in funzione di un particolare concetto di perfezione che ci siamo formati, ciascuno per proprio conto. Il giudizio estetico non è quindi mai universale, anzi niente vi è di più vario e mutevole di esso. Il gusto degli uomini dell’epoca classica era soddisfatto da strutture formali, quello degli uomini dell’800 era invece avido di contenuti altamente emotivi.

Ma non per questo bisogna identificare il gustcon l’arbitrio personale e quindi negare la possibilità di una sua educazione, che è un problema fondamentale sul terreno dell’arte e della pedagogia. Se il gusto fosse l’arbitrio personale, il suo oggetto non sarebbe il bello, ma il piacere del soggetto.

Ora invece la estrema mobilità e varietà del gusto sono piuttosto il rilievo della ricchezza dell’esperienza estetica che non si può ridurre secondo principi e concetti particolari.

Una educazione del gusto, perciò, è non solo possibile, ma necessaria.

Se si lascia che il giudizio estetico su Opere d’arte venga dato da un gusto che non è raffinato e sostanziato con una buona cultura, l’uomo comune verrà estraniato alla bellezza dell’arte (per lui incomprensibile) e giudicherà secondo i sensi o i sentimenti così come per le cose di uso pratico.

Una cultura storica dell’arte permette già di collocare le opere in una situazione etico-sociale e di riconoscere i motivi che in essa sono confluiti: si è pertanto al primo momento dell’educazione del gusto.

In secondo luogo l’uomo comune o l’allievo deve essere distratto dalla tendenza di vedere nell’arte una rappresentazione, una figura, un racconto, di vedere cioè cose della sua vita di cui egli non capirebbe la necessità di una trasfigurazione.

È questo il momento fondamentale della educazione del gusto: aprire l’animo dell’allievo ai valori formali, insegnargli a guardare le opere d’arte, donargli gli occhi che servono a cogliere, attraverso un’analisi stilistica, i valori di una combinazione di colori, di una struttura di verso, di una costruzione architettonica. È il momento in cui il gusto si affina e segue la concreta vita dell’arte, il farsi della tecnica, il costruirsi della forma.

Il procedimento è quello dell’analisi, ben guidata, delle opere d’arte; ma non si possono determinare metodi validi per ogni circostanza.

Educare il gusto non vuoi dire imporgli dei canoni e dei valori assoluti a cui esso debba uniformarsi: non si tratta di determinare a priori un gusto, ma piuttosto si impone il compito di risolvere l’immediatezza dei sentimenti, con cui l’uomo sprovveduto si accosta alle opere, in consapevole e sostanziale capacità di giudicare. Non si deve e non si può insegnare insomma il criterio di giudizio ma si deve soltanto aiutare il gusto a trovare a sé stesso il canone e il criterio. Più che imporre dei valori si tratta di sollecitare una profonda ricerca personale, o collettiva dei valori estetici conquistati con lo studio e la ricerca.

Per questo il metodo di educazione del gusto, fuori da ogni astratta e parziale determinazione, trova la sua formulazione più universale nell’esigenza di sciogliere l’educando dall’immediatezza dei suoi giudizi invitandolo, ad ogni passo, a riconquistare la propria spontaneità spirituale dopo una esperienza culturale.

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