«Ad oggi mancano all’appello oltre 90mila infermieri per sopperire alla grave carenza di personale nella sanità pubblica italiana».
Così Antonio De Palma, Presidente Nazionale del Nursing Up, porta alla luce la nuova indagine sindacale, il nuovo report, che fa emergere dati davvero drammatici che vanno anche ben di là delle più negative previsioni.
«I numeri parlano chiaro: siamo partiti dalla carenza strutturale di infermieri certificata dalla Fnopi alla conclusione della prima ondata del virus. Parliamo di 53mila unità. A questi dati abbiamo aggiunto i colleghi che avevano i requisiti per andare in pensione nel 2019, che sono tantissimi, il cui impatto negativo è ricaduto ovviamente sulla forza lavoro del SSN nel 2020, quindi nel momento peggiore, quello del Covid .
Si calcola che sono circa 22000 gli infermieri (sempre dati ufficiali FNOPI) che avevano i requisiti alla fine del 2019 per lasciare il proprio posto di lavoro e per godersi il “meritato riposo”, a questi aggiungiamo i professionisti idonei ad usufruire del percorso agevolato criterio “quota 100”, ovvero quello che ha consentito a tanti lavoratori, compresi quelli della sanità, di andare in pensione sommando l’età anagrafica agli anni di contributi versati.
Si conteggiano in questo modo 75000 infermieri in meno. Eppure non basta. Non finisce qui!
Almeno altri 9600 infermieri sono necessari per garantire il servizio dell’infermiere di famiglia, tanto annunciato ed acclamato, oltrechè previsto dal decreto rilancio, ma che per ora è solo sulla carta nella maggioranza di regioni italiane. Infine, bisogna aggiungere al computo, gli infermieri necessari per garantire il fabbisogno dei nuovi posti di terapia intensiva, sempre voluti in più dal Governo, che secondo l’Università di Padova, tra prima e seconda emergenza si assesta su un numero di 3553 unità in più. Partendo da questi dati, è stato utilizzato come parametro di riferimento il numero di ore lavorate per Full Time Equivalente (FTE), identificato dalla Commissione Salute della Conferenza delle Regioni e delle Province autonome, in data 20.12.2017, ed è stato applicato, per la rilevazione del fabbisogno, il valore mediano dei parametri minimi e massimi ivi adottati per le terapie intensive.
In sostanza, per il calcolo degli infermieri necessari sono stati applicati valori di riferimento anche inferiori rispetto a quelli normalmente applicati per le terapie intensive Covid. Ciò posto, ne discende che, per garantire l’ottimale servizio di assistenza infermieristica (con riferimento ai posti letto di terapia intensiva neo costituiti), il SSN ha bisogno di assumere ulteriori 8389 infermieri oltre, ovviamente, ad almeno 800 Operatori Socio Sanitari.
A questo punto ci chiediamo cosa succederebbe se la necessità di nuovi ricoveri dovesse portare alla saturazione dei posti in terapia intensiva unicamente attraverso pazienti Covid. Il conto è allarmante, perchè per ogni paziente di terapia intensiva occorrono almeno 3 infermieri e 1 anestesista. Lo dice una circolare della Regione Lombardia che fa riferimento ai moduli delle Fiere di Milano e Bergamo, e tale numero è anche superiore agli infermieri che normalmente dovrebbero essere impiegati in una terapia intensiva. Pertanto questa evenienza, tutt’altro che improbabile, farebbe salire ulteriormente il numero di infermieri necessari per i nuovi posti attivati, da 8389 fino a 10659.
Con i dati descritti, si presenta davanti a noi un fabbisogno di almeno 92959 infermieri, che potrebbe arrivare sino a 95259, se tutti i nuovi posti di terapia intensiva fossero occupati con pazienti Covid 19 (perchè il fabbisogno aumenta). Parliamo di personale da assumere, beninteso, in forma strutturata ed a tempo indeterminato, se si vuole risolvere una volta per tutte la grave penuria di infermieri che rende incerta l’assistenza.
Ma non finisce qui. Infatti le gravi carenze negli organici del SSN, frutto di decenni di irresponsabile austerità, vengono ulteriormente aggravate dalle assenze temporanee del personale interessato, in un contesto crono sociologico che ha visto aumentare esponenzialmente il tasso di morbilità infermieristica. Alla fine, oltre ai numeri elencati, bisogna tener conto che non meno di 18mila infermieri hanno avuto bisogno di assentarsi dal posto di lavoro per periodi più o meno lunghi di malattia, tra gli oltre 28mila che si sono ammalati di Covid da fine gennaio in poi. E questi colleghi avrebbero dovuto essere sostituiti con altrettanti colleghi a tempo determinato, essendosi generata, nei fatti, un’ulteriore impennata di fabbisognoì, seppur limitata ai periodi di assenza dei titolari.
Non c’è dubbio, conclude De Palma, i numeri che emergono dalla nostra inchiesta sono davvero preoccupanti. La riflessione a questo punto è inevitabile: se il Governo avesse messo in atto la strategia sacrosanta dei contratti a tempo indeterminato con retribuzioni degne dell’elevata professionalità degli infermieri italiani, non lasciando che in alcune Regioni (vedi la Campania) i precari tra gli infermieri Covid raggiungessero, scandalosamente, anche fino all’80% del personale, e se avessero richiamato anche i tanti colleghi all’estero, letteralmente scappati via di fronte a proposte ben più gratificanti, forse, e diciamo forse, oggi potremmo contare su almeno il 20/30% di infermieri in più rispetto alla carenza attuale.
Si pensi, ma solo per esempio, ai molti colleghi, vedi il caso delle Marche, che non hanno accettato contratti a tre mesi e che oggi preferiscono la libera professione o addirittura la disoccupazione.
Insomma, pur consapevoli che l’emergenza Covid ha reso più profonda la voragine già presente nella sanità, siamo convinti, al contrario di ciò che qualcun altro sta provando a dire, che un certo numero di infermieri italiani sul mercato c’è, ma che bisogna coinvolgerli con politiche contrattuali adeguate e valorizzanti, per coprire almeno in parte l’enorme falla!»