«La vita bene spesa lunga è» (Codice Trivulziano).
Chi scrisse queste parole – dice Battaglia La Terra Borgese –, visse proprio secondo il suo criterio, per secoli, e non una vita sola, ma dieci, e continuerà a vivere ancora. Perché Leonardo da Vinci non fu soltanto uno dei grandi maestri del periodo aureo della pittura, ma un multiforme genio della scienza. Era uomo moderno, nato in quel mattino che nei nostri tempi chiamiamo Rinascimento; previde o inventò molto di ciò che, da allora, la scienza ha impiegato cinque interi secoli a scoprire.
PANORAMICA
Le più grandi scoperte di Leonardo rimasero ignorate nei suoi quaderni d’appunti – continua Paolo Battaglia La Terra Borgese -: questi sono stati riordinati e pubblicati soltanto di recente, perché dopo la sua morte andarono sparpagliati di qua e di là (forse una metà si è perduta per sempre) e furono apprezzati dai collezionisti più come autografi che per il valore del loro contenuto. Autografi davvero insoliti, perché Leonardo era mancino e per di più aveva la strana abitudine di scrivere da destra a sinistra. Per leggere i suoi scritti, bisogna guardarli allo specchio. Fatto simbolico, divenne più tardi ambidestro.
Nell’offrire a quel bambino tanti doni preziosi da riempirgli entrambe le mani, la Natura scelse per lui degli strani genitori: Caterina, la madre, aveva sedici anni ed era figlia di contadini; il padre, Piero da Vinci, era un notaio. In un’ardente estate toscana, la Natura chiuse nella sua mano creatrice quest’uomo e questa ragazzina e formò il suo capolavoro: ad Anchiano il 15 aprile 1452 – dice così – Paolo Battaglia La Terra Borgese -.
Per impedire a Piero il matrimonio con la troppo umile Caterina, i genitori si affrettarono a fargli sposare una ragazza più abbiente. Secondo un’usanza del tempo, Piero da Vinci riscattò dalla madre il figlio naturale, e lo riconobbe. Durante l’infanzia di Leonardo, il padre non ebbe altri figli, e perciò lo viziò. D’altra parte la straordinaria bellezza del bimbo e la sua prontezza d’ingegno gli facevano perdonare facilmente certi difetti di cui non si liberò mai: l’umore burlesco, l’illimitata fiducia in se stesso, la tendenza a sognare ad occhi aperti – ci informa Battaglia La Terra Borgese-.
LA MALINCONICA INFANZIA E IL RAPPORTO CON LA NATURA
Il piccolo Leonardo, crescendo nei poderi del padre vicino a Firenze, contemplò quelle meravigliose campagne finché la poesia delle pinete, dei ruscelli serpeggianti, dei dirupi, dei fiori silvestri gli penetrò nell’anima, per rivivere più tardi in quei mirabili paesaggi che fanno da sfondo ai suoi quadri. Amava la musica e suonava d’incanto, i versi gli sgorgavano facili dalle labbra. Ogni forma di vita gli era maestra.
Non gli fu mai concesso di conoscere la madre, sebbene la sapesse viva; e quel represso bisogno d’amore materno lo ossessionò, fino a quando trovò sfogo in quelle pitture che sono il più perfetto tributo d’adorazione mai offerto alla Madonna. Leonardo, che non aveva mai conosciuto l’amore della madre né quello del bambino, scelse i tesori più preziosi del mondo, i fiori dalle grandi corolle aperte, i vispi agnellini, i piccoli uccelli, gli alberi, i monti dalle bellissime linee, e ne animò il Bambino in braccio alla Madre.
APPRENDIMENTO E VIVACITÀ, LA CURIOSITÀ E LA SOCIALITÀ DI LEONARDO
Appena Piero da Vinci scoprì i primi disegni del ragazzino, lo mise a lavorare nella bottega fiorentina del Verrocchio. Verrocchio coltivava tutte le arti nelle quali Leonardo doveva ancora eccellere: pittura, scultura, architettura, musica, geometria e storia naturale; cosi allievo e maestro furono entusiasti l’uno dell’altro. Frequentavano la bottega del Verrocchio altri giovani artisti, tra i quali Botticelli, che divennero i migliori amici di Leonardo. Discutevano di tutto, macchinavano beffe atroci, facevano la lotta, domavano cavalli; divertimento, quest’ultimo, prediletto da Leonardo. Si dice che fosse cosi forte da piegare un ferro di cavallo con una mano.
L’apprendista Leonardo si aggirava spesso per i cortili – prosegue Paolo Battaglia La Terra Borgese – e per le chiese fiorentine a studiarvi i loro tesori artistici, oppure passeggiare con i matematici, con gli astronomi, con i geografi maggiori di quei tempi, assimilando tutta la loro scienza. Gli piaceva anche parlare, e sulla piazza del mercato si metteva bravamente ad arringare la folla, divisa fra la reverenza e l’ilarità, sognando ad occhi aperti e vantandosi di poter scavare gallerie sotto le montagne e trasportare gli edifici come stavano da un punto all’altro della città.
L’ARTE IN UNO CON LA SCIENZA, LA RICERCA, LA VITA E CON DIO
Leonardo studiò matematica e fisica – ci spiega Paolo Battaglia La Terra Borgese -, botanica e anatomia non come un soprappiù, ma come parte integrante della sua arte. Per lui non esistevano differenze essenziali fra arte e scienza: erano due modi di descrivere un unico universo divino.
Quando si metteva a dipingere, Leonardo stendeva sulla realtà fredda e cruda lo splendido manto della bellezza. Nascondeva con la destrezza di un illusionista la sua sapienza, la sua tecnica senza pari, e dipingeva come un innamorato della vita. Per vedere quanto la amasse basta sfogliare gli albi dei suoi disegni, che sono centinaia. Ecco apparirci su un foglio i volti contratti dei soldati in atto di uccidere o di morire, e su un altro una giovane donna che s’inginocchia a pregare. Qua ha colto la tensione nervosa nei tendini del collo di un vecchio mendicante, là la contentezza di un bimbo che gioca. Si dice che seguisse per giornate le persone di aspetto bello oppure grottesco, per studiarle. Visitava gli ospedali per osservare un vecchio morente e correva ad assistere all’impiccagione di un assassino. Indugiava a guardare l’innocente avidità di un lattante al seno materno; poi, in segreto perché era disapprovato, sezionava un cadavere per poter dipingere con esattezza “la proporzione divina”.
A nessuna scienza – ci tiene a precisarePaolo Battaglia La Terra Borgese – Leonardo dedicò tanto tempo quanto all’anatomia. Dimostrò che i muscoli sono le leve che sappiamo, e rivelò che l’occhio è null’altro che una lente. Provò come il cuore sia una pompa idraulica e dimostrò che il polso è sincronizzato con i battiti del cuore. Le molte osservazioni fatte negli ospedali lo condussero a scoprire che l’indurimento delle arterie è causa di morte nell’età senile.
LEONARDO INGEGNERE BELLICO
Eppure fu come suonatore di liuto che Leonardo, sui 30 anni, venne raccomandato da Lorenzo il Magnifico a Ludovico il Moro. Quest’ultimo era il perfido, furbo, brutale tiranno di Milano. Leggendo la lettera che Leonardo gli scrisse per offrirgli i suoi servizi, si fregò le mani: quell’uomo poteva essergli utile, perché si dichiarava inventore di un ponte mobile leggero, utilissimo all’inseguimento del nemico; diceva di aver progettato delle pompe per prosciugare il fossato di castelli cinti d’assedio; era esperto nella colata di enormi cannoni e aveva dei progetti per la costruzione di un carro armato semovente che aprisse la strada alle fanterie!
Gli appunti nei suoi quaderni dimostrano – chiarisce Paolo Battaglia La Terra Borgese – che, nell’arte militare, Leonardo era quasi preparato a una guerra mondiale. Era capace di progettare un cannone a 33 bocche, 11 delle quali sparavano simultaneamente. Progettò proiettili conici, a mitraglia e shrapnel. Fece bombe a orologeria, granate a mano, progettò bombe a gas e maschere antigas. Montò su ruote l’artiglieria e inventò un tipo di cannone a retrocarica, in sostituzione delle artiglierie che si caricavano dalla bocca.
LEONARDO INGEGNERE CIVILE, PITTORE DELLA NATURA E TENACE DIFENSORE DEI PROPRI DIRITTI
Quando Leonardo giunse dalla soleggiata Firenze alla grigia Milano, pensò all’installazione delle tubazioni per il bagno della duchessa e al ritratto della superba e fredda amante del Moro. Costruì pure una complessa rete di canali per la città e fece progetti, mai adottati, di strade a due livelli, capaci di smistare diversi generi di traffico. Quale esperto di fortificazioni militari, fu mandato sulle Alpi a munire le vallate contro le invasioni provenienti dal nord. E là, nella bella Engadina, vide il rorido getto delle cascate balzanti giù dai dirupi, seguì la traccia delle stratificazioni geologiche, colse commosso fiori e felci con quelle dita che dovevano poi farli rivivere in eterno sulla tela.
Da quelle sensazioni – fa osservare Paolo Battaglia La Terra Borgese – e dai ricordi d’infanzia nacque la Vergine delle Rocce, quadro in cui il paesaggio e la flora danno risalto, con la loro dolcezza silvestre, alla divinità della Madre adorabile, all’angelo bello come un sogno e al Bambino che piega la manina a benedire il suo compagno di giochi, San Giovanni.
Questo quadro fu ordinato da una confraternita religiosa di Milano per la misera somma di 20 ducati, ma Leonardo ritenne che l’opera compiuta ne valesse100. I monaci si appellarono al contratto, ma Leonardo non consegnò il quadro. Quelli allora gli intentarono causa, e per 20 anni Leonardo lottò contro di loro in tutti i tribunali. Infine il re di Francia acquistò il quadro e lo mise nel suo palazzo del Louvre, a Parigi. Leonardo, tanto per rabbonire i monaci, aiutato dagli allievi, fece una copia del quadro, quella che è ora alla National Gallery di Londra.
I RESTAURI DEL CENACOLO
Il Cenacolo, che fu un tempo una delle opere più belle del mondo, fu dipinto da Leonardo su una parete del refettorio dei frati di Santa Maria delle Grazie a Milano, su un intonaco poco adatto al colore. Dopo soli 20 anni, l’umidità, diffondendosi per la parete, era causa di ammuffimenti e di incrostazioni che sfigurarono il dipinto. Più tardi fu perfino aperta una porta in quella parete; e quando la soldataglia napoleonica giunse a Milano, si diverti a sparare contro il Cristo e gli Apostoli. In seguito, generazioni di sedicenti restauratori deturparono l’opera. L’ultimo restauro – dopo di quello importante terminato nel 1954 da Mauro Pelliccioli, all’epoca il più grande restauratore italiano di opere d’arte, che lo riportò il più vicino possibile all’originale – tiene a precisare Paolo Battaglia La Terra Borgese – durò 21 anni, fino al 1998, ad opera dalla celebre restauratrice specializzata in affreschi rinascimentali Pinin (Giuseppina) Brambilla Barcilon (1925-2020). Ma se non fosse per i molti studi preparatori di Leonardo e per le copie fatte da altri artisti quando il dipinto era intatto, sapremmo ancora ben poco della passione con cui il Cenacolo fu concepito e della purezza con cui fu eseguito.
PERDITA, PITTURA, TECNICA, SCIENZA E PERSEVERANZA
La perdita di un’opera di Leonardo – rileva Battaglia La Terra Borgese -, e ne sono andate perdute molte, è gravissima, perché pochi dei suoi quadri sono compiuti, sebbene gli schizzi e gli studi si contino a migliaia. Quando Leonardo si decideva a prendere in mano il pennello era capace di lavorare per giorni e giorni, mangiando appena. Oppure se ne stava seduto per tutta una giornata davanti al quadro, dando sì e no tre pennellate. La mattina dopo era capacissimo di cancellare tutto e ricominciare da capo. Probabile che mai abbia considerato uno dei suoi quadri finito alla perfezione; e forse è per questo che non ha firmato quasi nulla.
UNA VITA SPESA A MEDITARE E PRECORRERE, L’INGEGNO
Mentre dipingeva come un dio, Leonardo osava sognare, come pochi altri mortali hanno fatto, la conquista del mondo attraverso la scienza. Il cielo non era limite alle sue altissime meditazioni, né il mare era troppo profondo: e nel cielo e nel mare Leonardo spaziò con l’immaginazione, certo che un giorno vi avrebbe spaziato anche il corpo.
Paolo Battaglia La Terra Borgesespiega che Leonardo, prima dei suoi tentativi di conquista dell’aria, studiò perché gli uccelli spicchino il volo contro vento e comprese perché l’ala profilata li aiuti a impennarsi in volo. Facendo esperimenti con dei modelli di carta, previde gli avvitamenti e le cadute a foglia morta, i tuffi in picchiata e le scivolate d’ala, e dette istruzioni particolareggiate per uscirne.
I più antichi disegni di Leonardo per una macchina volante fanno pensare a una libellula, oppure a un pipistrello. Capiva che le ali battessero, e a questo scopo progettò una carlinga articolata di pezzi di cuoio cuciti insieme. Non potendo disporre di altra forza motrice che di quella dell’uomo trasportato nella macchina, immaginò che il suo aviatore, steso bocconi nel telaio, remasse nell’aria con le ali.
In seguito, e per primo – precisa Battaglia La Terra Borgese -, Leonardo ebbe l’idea di un’elica per la locomozione. Nel suo modello, l’elica gira in senso orizzontale, con la carlinga appesa sotto, come un elicottero. In un primo tempo pensò che l’aviatore dovesse premere su due pedali per mettere in moto le pale dell’elica. Ma nel suo modello di cartone ricorse invece, come forza motrice, a una molla fortemente carica. Secondo i suoi progetti, la macchina si sarebbe dovuta sollevare verticalmente. La teoria era giusta, ma, mancandogli un apparato motore leggero, non poté mai realizzarla.
E tuttavia sembra che riuscisse a compiere un tentativo di volo, su quello che doveva essere una specie di apparecchio per il volo a vela. Con molte precauzioni e in gran segretezza, quest’apparecchio fu costruito su un edificio alto e, secondo la notizia tramandata attraverso i secoli, venne infine lanciato, forse con Leonardo stesso a bordo! Ma quel volo fu un fiasco e, a quanto pare, Leonardo non rifece più il tentativo.
LA MENTE PROLIFICA
Leonardo – prosegue Paolo Battaglia La Terra Borgese – progettò case portatili prefabbricate, macchine laminatrici, una macchina per fare le viti, un trattore a cingoli, una filatrice e una scavatrice. Fu il primo che montò un ago magnetico su un asse orizzontale, dandoci cosi la bussola che conosciamo oggi. Fu l’inventore di quello che oggi chiamiamo ingranaggio differenziale, e dell’anemometro (misuratore della velocità del vento).
Ideò uno scafandro e una cintura di salvataggio. Progettò grandi sottomarini, ma ne distrusse i disegni. Perché, disse, c’è troppa malvagità nel cuore degli uomini, e ad affidare loro simili segreti si rischia di far loro praticare l’assassinio anche in fondo al mare!
L’ARCHEOLOGO ASTRONOMO
Leonardo fu il primo scienziato a capire che i fossili sono le impronte di animali antichissimi, esistiti quando le rocce in cui si ritrovano erano soltanto sedimenti del fondo marino. Perché la Terra, disse, non contava solo 5000 anni di vita. I suoi studi geologici di precursore lo persuasero che l’Arno doveva aver impiegato 200.000 anni per formare le sue pianure alluvionali.
Un secolo prima dei telescopi e di Galileo, Leonardo aveva intuito che la Terra non è il centro dell’universo, ma si muove attorno al Sole descrivendo un’orbita ellittica; che la Terra è soltanto un pianeta e non appare più grande, entro il sistema solare, della Luna in confronto alla Terra stessa; che le stelle sono mondi remoti, immensamente più grandi di quel che sembrano e che anche il Sole è soltanto uno di essi.
LO SCIENZIATO
Leonardo suggerì perfino la teoria atomica della materia. Previde anche dove questa avrebbe potuto condurci quando scrisse che da sottoterra sarebbe sorto qualcosa che avrebbe stordito col suo fragore tutti quelli che vi fossero stati vicini, facendo cadere a terra morti gli uomini col suo alito, e devastando città e castelli. Agli uomini sarebbe sembrato di vedere nuove distruzioni nel cielo, e saettarne fiamme.
L’UOMO, L’INDIVIDUO, LA PERSONA, LE PENE, LA FAMA, LA GIOCONDA, LA FINE
Nessuna meraviglia, si fa dunque il critico d’arte Paolo Battaglia La Terra Borgese, che occhi capaci di veder tante cose avessero lo sguardo stanco.
Spiega, infatti, il critico d’arte: a giudicare dall’autoritratto, eseguito intorno al 1510, Leonardo a 58 anni era un vecchio, dall’aspetto venerando e profondo, ma un poco deluso. Sembra che le molte vite che aveva cercato di vivere in una sola ne avessero consunto la fibra.
Inoltre – continua – era dovuto fuggire da Milano quando la città era stata occupata dai Francesi e gli Sforza ne erano stati cacciati. Si rifugiò a Mantova, si spinse fino a Venezia, visse un periodo infelice a Roma, tornò a Firenze e, quando non ci fu più pericolo, di nuovo a Milano. Negli ultimi anni trascorsi in questa città, il Moro non gli aveva pagato lo stipendio, cosi dovette accettare lavori occasionali di ingegneria e commissioni saltuarie come artista libero.
Una di queste fu il ritratto di Lisa Gherardini, moglie di Messer Giocondo di Firenze, per cui il quadro, che è il suo ultimo capolavoro, ci è noto come Monna Lisa o La Gioconda. Sebbene fosse una gentildonna ricca e alla moda, Monna Lisa veste severamente di nero, senza neppure un anello, in segno di lutto per la morte recente del suo bambino. Aveva 21 anni quando cominciò a posare per quel ritratto, ma quando Leonardo cessò di lavorarci erano trascorsi sei anni. Incarnazione di uno dei sogni di Leonardo più che ritratto di donna vera e propria, Monna Lisa sorride enigmatica ad una misteriosa visione, che sembra appaia dietro chi guarda.
Misterioso è pure il fatto che il ritratto non sia mai stato consegnato. Leonardo lo portò con sé come la cosa più preziosa che avesse quando accettò l’invito del re Francesco I di andare a stabilirsi in Francia. Alla fine il re acquistò il quadro per 12.000 franchi, e lo fece collocare al Louvre.
Leonardo – svela Battaglia La Terra Borgese – godette fra i contemporanei di una fama più vasta e insieme meno alta di quella che oggi lo circonda. Il profondo rispetto che noi nutriamo per la sua scienza non ebbe riscontro ai suoi tempi. Come artista, naturalmente, ebbe una fama superba, sebbene non senza rivali; dopo tutto, viveva ai tempi di Botticelli, di Raffaello, di Michelangelo. Ma il popolo artista della Firenze quattrocentesca gli faceva codazzo per le vie, e quando veniva esposto uno dei suoi bozzetti, la gente si accalcava ad ammirarlo, come gli odierni maniaci del cinema quando c’è da vedere una star in persona. Signorie e personaggi ricchissimi se lo disputavano; i re gli chiedevano soltanto di onorare le loro corti; perché la persona di Leonardo era diventata oggetto di un vero culto.
Eppure, in cuor suo – chiude Battaglia La Terra Borgese -, Leonardo, di cui mi sento amico, fu un solitario. Forse non incontrò mai un’altra creatura capace di comprenderlo. Sorridente, la sua figura sembra ancora precederci, nei secoli, mentre ci affanniamo per raggiungere la lunga ombra che lui proietta dietro di sé. Gli ultimi anni di Leonardo trascorsero negli agi, ad Amboise, nella Francia centrale. I visitatori fingevano di non accorgersi che aveva le mani paralizzate; trovavano il suo spirito più vivo che mai, assorto nel nuovo piano di un canale dalle chiuse poderose, con una miriade d’idee già appuntate nei suoi quaderni. Mai la sua conversazione era stata più versatile, il suo aspetto più regale, il suo sorriso più pieno di comprensione. Forse perfino la morte sorrideva così, con quell’aureola di mistero e di saggezza che egli solo fra tutti seppe cogliere, quando venne a chiamarlo il 2 maggio 1519.