“Medicina legale fondamentale nell’evidenziare la violenza sulle donne nelle aree di primo soccorso”, la testimonianza della professoressa Antonella Argo, vicepresidente SIMLA e direttrice dell’Unità operativa di medicina legale dell’Azienda Ospedaliera Universitaria Policlinico “Giaccone” di Palermo. In vista della giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, istituita dall’ONU, gli spunti della professioniste impegnate sul campo della prevenzione e della segnalazione degli abusi: dal lavoro per registrare i casi di femminicidio all’attività nelle sedi di primo soccorso fino all’impegno per intercettare le violenze anche nei ricoveri per altre ragioni. Il ruolo prioritario della medicina legale nel definire i casi di violenza contro le donne è acclarato dai risultati ottenuti sul campo, sul fronte della diagnostica, della raccolta delle prove e anche nei rapporti di interlocuzione e supporto con l’autorità giudiziaria. Una presenza che è ben identificata dalla professoressa Antonella Argo, vicepresidente SIMLA e direttrice dell’Unità operativa di medicina legale dell’Azienda Ospedaliera Universitaria Policlinico “Giaccone” di Palermo:“Operiamo nei contesti delle aree di pronto soccorso, di emergenza e urgenza, del pronto soccorso ostetrico ginecologico con diverse figure specializzate in un ambito inter e multidisciplinare per tutelare la salute della donna nel momento in cui è vittima di un attentato alla libertà sessuale”. Un ruolo che potrebbe diventare maggiormente incisivo con una presenza più massiccia degli specialisti: “Le donne vittime di violenze finiscono due volte più frequentemente al pronto soccorso, pertanto se vogliamo fare prevenzione e un detecting perfetto della violenza di genere, la medicina legale deve stare nelle sedi di primo soccorso: dobbiamo essere messi nelle condizioni di poter operare”. La professoressa Cristina Cattaneo, ordinaria di Medicina Legale all’Università di Milano, sottolinea il grande rilievo degli specialisti di medicina legale nell’ambito della medicina della violenza per valutare la natura della lesione, la modalità e la dinamica che hanno molteplici declinazioni, a partire dall’importanza di rilevare gli elementi giusti in maniera scientifica perché “sappiamo – ha proseguito la professoressa – che dal 50 al 70% i casi giudiziari per violenza domestica o violenza sessuale poi finiscono nel nulla perché c’è una mancanza di prove”
E proprio dell’importanza della genetica forense ha parlato la dott.ssa Loredana Buscemi, presidente del gruppo dei Genetisti Forensi Italiani, sottolineandone il valore grazie alle più “sofisticate tecniche analitiche di laboratorio che le permettono di fornire un contributo investigativo determinante anche perché è estremamente improbabile che nelle situazioni di maltrattamento e violenza non vi sia un contatto”. E in questo senso scatta l’azione degli specialisti che sanno raccogliere in maniera opportuna una traccia biologica e garantirne la catena di custodia in modo che l’autorità giudiziaria possa farne un utilizzo adeguato e considerarne l’uso lecito. A questo proposito il GeFI. ha strutturato delle “Linee guida per la repertazione di tracce biologiche per le analisi di genetica forense nel percorso assistenziale delle vittime di violenza sessuale e/o maltrattamento” che sono poi confluite nel decreto di riferimento sulle linee guida nazionali per le Aziende sanitarie e ospedaliere in tema di soccorso e assistenza socio-sanitaria alle donne vittime di violenza. L’aspetto diagnostico è certamente essenziale, in quanto consente di accertare quegli elementi che possano documentare e diventare poi un elemento di prova in un eventuale giudizio successivo, ma il ruolo della medicina legale, spiega la professoressa Rossana Cecchi, ordinaria e direttrice dell’Istituto di Medicina Legale dell’Università di Parma, è “fondamentale anche per dare un senso epidemiologico statistico al fenomeno”. Il riferimento corre a un lavoro che la professoressa sta conducendo nel centro emiliano sul tema del femminicidio in rapporto al più generico dato degli omicidi di donne: “Abbiamo proposto una nuova definizione medico legale di femminicidio che consiste nella donna che viene uccisa per il mancato riconoscimento del suo diritto all’autodeterminazione da parte di colui che l’uccide e sulla base di questa considerazione abbiamo studiato i casi di omicidio distinguendoli gli uni dagli altri anche in rapporto ai segnali anatomici rilevati per caratterizzare il femminicidio rispetto ad altre forme di delitto”. Analisi che riflettono un grande lavoro compiuto sul campo, evidenziando inoltre la complessità nell’affrontare tematiche così delicate. La professoressa Anna Aprile, associata di medicina legale presso l’Università di Padova, mette in risalto che, dalla sua personale esperienza, “si presentano almeno due/tre casi di violenza sulle donne a settimana mentre la media della violenza sessuale è di almeno uno al giorno”. Una numerosità importante che vede la medicina legale in prima linea per la sua esperienza diagnostica, cioè dare il giusto rilievo alle lesioni per confrontarle con il racconto della vittime e così interpretare e ricostruire la dinamica – elementi utili in ambito giudiziario – e anche per la metodologia diagnostica della raccolta delle prove. “Oltre che negli episodi acuti, risulta inoltre determinante il nostro lavoro – prosegue la professoressa – per intercettare la violenza quando si manifesta in un ricovero per altri motivi”.