“In poche ore nelle carceri siciliane ci sono stati due suicidi: dopo quello di un ragazzo di 25
anni a Palermo, una giovane donna a Messina si è tolta la vita.
Dall’inizio dell’anno nei penitenziari del Paese ci sono stati 11 suicidi, vale a dire un suicidio ogni quattro giorni.
E’ una “strage silenziosa di Stato” che si perpetua da anni (con un incremento allarmante in
questo primo scorcio del 2022) e che è ancora più grave se si tiene conto che solo dall’inizio
del nuovo anno si sono suicidati due agenti penitenziari”. A sostenerlo è il segretario
generale del Sindacato Polizia Penitenziaria – S.PP. – Aldo Di Giacomo ricordando che nel
2021 i suicidi in carcere sono stati 54 e 88 le morti per cause naturali, per un totale di 132
vittime, mentre nel 2020 i suicidi sono stati 62 con un totale di 152 decessi a cui si
aggiungono alcune decine di migliaia i casi di autolesionismo e almeno il doppio di casi di
interventi di agenti penitenziari che sono riusciti a sventare con prontezza e professionalità
tentativi di suicidi. “A risolvere questa emergenza sociale e civile – aggiunge – non può
essere certo la recente sentenza della Corte d’Appello del Tribunale di L’Aquila che ha
condannato per omessa vigilanza il Ministero di Grazia e Giustizia e quindi il carcere al
risarcimento del danno in favore della famiglia di un giovane che nel 2011 si impiccò nella
propria cella del carcere di Castrogno. Anche per il suicidio all’Ucciardone si nutrono seri
dubbi sullo stato di salute mentale del giovane detenuto già sottoposto a perizia
psichiatrica, a conferma – aggiunge – che come accaduto per altri suicidi a rischio sono
soprattutto quanti hanno problemi psichiatrici.
È da anni – dice Di Giacomo – che andiamo ripetendo che le carceri non sono strutture di
cura psichiatrica e che questi detenuti non devono trovarsi qui. Ancora: gli istituti
penitenziari necessitano, come abbiamo più volte chiesto ai Ministri Cartabia (Giustizia) e
Speranza (Sanità) di personale medico e paramedico e di ambulatori attrezzati in primo
luogo per le prime cure. Uno Stato che non riesce a garantire la sicurezza della vita dei
detenuti affidati in custodia per scontare pene giudiziarie testimonia di aver rinunciato ai
suoi doveri civici. Per questo – continua Di Giacomo – una sentenza della magistratura (il
caso de L’Aquila) che condanna il Ministero non risolve nulla se non si dà attuazione ad un
piano organico di intervento e di assistenza psicologica ai detenuti. Purtroppo dalla lettura
della relazione conclusiva del prof. Marco Ruotolo, presidente della Commissione per
l’innovazione del sistema penitenziario istituita dalla Ministra Marta Cartabia siamo
fortemente preoccupati per quello che accadrà con la cosiddetta riforma penitenziaria che
prevede la trasformazione degli agenti penitenziari, nell’ipotesi più benevola, in “badanti”
dei detenuti” e impotenti ad intervenire nella “strage silenziosa” che la politica con
atteggiamento da struzzo finge di ignorare”.