Il 20 agosto Mi chiamo Maris e vengo dal Mare approda presso il Faro di Punta
Spadillo a Pantelleria, nell’ambito del prestigioso circuito di Teatri di Pietra la rete
culturale per la valorizzazione dei teatri antichi e del patrimonio monumentale che da
oltre vent’anni pone al centro la valorizzazione dei siti archeologici e monumentali
attraverso lo spettacolo dal vivo.
Il 30 luglio ha aperto la terza edizione del Globo Teatro Festival presso il Parco
Ecolandia a Reggio Calabria e ha proseguito con la diramazione “on tour” del Festival
fino a Locri il 13 agosto.
Questa terza edizione porta in scena spettacoli di Teatro di Prosa e Performance che
portano alla ribalta – con originalità espressiva e sperimentazione – produzioni di teatro
contemporaneo di cui molte innestate sui classici del teatro e della letteratura da
interpreti legati per il loro percorso artistico a radici mediterranee.
La tournée 2021 di Mi chiamo Maris e vengo dal Mare ha preso ufficialmente il via il 23
giugno 2021 al Circolo Arci di Monticelli d’Ongina (PC) e proseguirà fino all’autunno
in un rinnovarsi di collaborazioni e di nuovi incontri.
Il viaggio è iniziato nel 2019 nell’ambito di Teatri di Pietra, la rete culturale per la
valorizzazione dei teatri antichi e del patrimonio monumentale; ha aperto l’XI edizione
di Atto Unico Teatro Festival a Noto, è stata ospite della Rassegna Binari Paralleli
di Torino.
La storia di Maris è vera. Venduta, costretta a prostituirsi rimane incinta, viene poi messa
su un barcone e spedita in Italia, dove – grazie al sistema di accoglienza – si salva dallo
sfruttamento. In Sicilia scopre e matura il sentimento di una maternità conflittuale, fatta
di slanci di amore viscerale ma anche di profondo dissidio interiore.
Dal nucleo potente della vera storia della protagonista, parte la drammaturgia di una
storia “simbolo” che ha in sé molti elementi archetipici: la guerra, la migrazione, il rapporto
con la famiglia di origine e poi la figlia. La rete da pesca e l’acqua sono due elementi
dominanti che legano il passato e il presente in un viaggio che avviene – con e attraverso
- una “pignata”, una pentola antica che è barca e fulcro di una danza tribale da cui ha
origine tutto.
Nella rappresentazione si intrecciano due chiavi di lettura imprescindibili fra loro: una
simbolica, epica che si esprime attraverso la danza e la gestualità, e una intimista fatta
di parole dissacranti, del racconto-cronaca crudo e disperato.
A tal proposito Chiaraluce Fiorito dichiara: “raccontare la storia di Maris che viene dal
mare è un grido rivoluzionario e controcorrente.
Non interpreto un personaggio ma narro una vicenda vissuta, quel racconto diventa parte
di me come narratrice, come interprete e come donna; è come un libro che apro al
momento e lo racconto invertendo le pagine, soprapponendo i capitoli, disegnando tratti,
gesti, parole intrappolate in una rete da pesca che diventa pagine da sfogliare, l’ultima
delle quali è l’inizio di una nuova storia.
Ed è proprio dalla figlia che scaturiscono la catarsi e l’ultima provocazione lanciata al
pubblico: “dai tu un nome a questa pagina di Maris”.
Ormai la sua storia è di tutti quelli che l’hanno ascoltata.