di Achille Sammartano
A chi gioca; a chi a teatro siede sempre nel posto sbagliato e immagina lo spettacolo tra le fessure di luce; a chi trova ancora la forza di stare in silenzio; all’anima, a qualsiasi anima insicura; a chi sa ciò che vuole e gli va bene così, senza una soluzione, perché, si sa, la soluzione molto spesso è già di per sé un compromesso; ai timidi di ogni secolo, che non hanno mai compreso quanta arte ci voglia per raccontare se stessi attraverso l’audacia del mondo; a chi sa aspettare, non si sa cosa, non si sa quando.
A tutti loro è rivolto il Cyrano de Bergerac.
Il 28 dicembre del 1897 al Théâtre de la Porte-Saint-Martin di Parigi, il ventinovenne Edmond Rostand, presentò al pubblico l’opera che lo avrebbe consacrato alla storia del teatro: “Cyrano de Bergerac”. Nessuno avrebbe potuto immaginare un così vasto successo, neppure lui; non a caso Rostand, sebbene ne abbia scritte altre, è passato alla storia come scriptor unius operis, cioè autore dell’unica opera che gli sopravvive.
Il valoroso e giovane Cyrano, spadaccino dal lunghissimo naso, è reso protagonista di una storia d’amore possibile e impossibile allo stesso tempo. La borghesia della belle époque si trovò attratta da tutto quel valore fine a se stesso, dall’enormità di quel sentimento mai sprecato e dalla testarda timidezza del monolitico eroe di spada e di penna.
La generosità massima dell’essere umano, ovvero quella di cedere ad altri il proprio amore, in Cyrano si trasforma magicamente in un sottilissimo intreccio psicologico. Non importa quali labbra parlino a Rossana, la sola cosa necessaria è che lei senta quelle parole; da qui nasce la portata rivoluzionaria dell’opera: la parola ha vita autonoma, colpisce, subisce, trema e non chiede quale sia la sua fonte. Alla parola basta il messaggio per essere vera. L’avvenente Cristiano non è soltanto un tramite scelto per interesse personale, ma una essenziale parte della enorme dicotomia vivente che è il “Signor di Bergerac”, ovvero l’apparenza che si scontra con l’essenza. Sbaglieremmo se pensassimo che da un lato esista la bellezza vuota e stupida e dall’altro una profonda e appassionata bruttezza che le presta i vocaboli, entrambi i personaggi sono portatori coscienti di un unico male di vivere: l’inadeguatezza al mondo.
Il primo non possiede le sottili capacità di rimatore che la sempre più raffinata borghesia richiedeva; il secondo, pur avendo queste ultime, è sprovvisto di una fisionomia tanto gradevole da soddisfare le convenzioni sociali. Ecco, quindi, come mai i due antipodi si uniscono, perché figli di uno stesso dolore.
Cyrano, va detto, non è soltanto l’amore per la bella Rossana ma rappresenta la ribellione a tutti coloro i quali, allora come oggi, si dilettano a far continui prodigi di agilità dorsale, ai lecchini, ai faccendieri, ai prepotenti, ai vuoti d’animo e ai vanagloriosi. Il giovane spadaccino dimostra agli spettatori di ogni epoca la forza incontenibile dell’interiorità che chiede soltanto di duellare più forte che può, affinché il mondo capisca quanto coraggio sia necessario per essere veramente liberi.
Il mondo, dunque, dovrebbe ripartire da Cyrano de Bergerac, l’indomabile spadaccino e rimatore che in vita sua fu tutto e non fu niente!