martedì, Novembre 19, 2024
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I dubbi della Consulta sul cognome paterno ai figli

Cinque anni fa la Corte costituzionale aveva definito “indifferibile” un intervento del legislatore per riformare in maniera organica “secondo criteri finalmente consoni al principio di parità” la questione del cognome da attribuire ai figli. Da allora però non è cambiato niente, con i progetti di riforma rimasti al palo. Forse stanca di questa inerzia, la Consulta dà ora una scossa al Parlamento.

E mette direttamente sul proprio tavolo la pronuncia sulla legittimità dell’articolo 262 del Codice civile che stabilisce come regola l’assegnazione ai figli del solo cognome paterno. Lo fa sollevando davanti a se stessa la questione di costituzionalità di quella norma. Non è la prima volta che accade, ma si tratta di decisioni poco frequenti e che hanno un peso. E che in genere hanno portato a pronunce di incostituzionalità.
La scelta è maturata nella camera di consiglio in cui la Consulta ha esaminato la questione di legittimità sollevata dal Tribunale di Bolzano sul primo comma dell’articolo 262 nella parte in cui non consente ai genitori di assegnare al figlio, nato fuori dal matrimonio ma riconosciuto, il solo cognome materno.

Ma i giudici costituzionali hanno ritenuto di dover andare alla radice del problema, cioè di pronunciarsi, prima ancora che su questo, sulla regola generale che vale per tutti i figli, nati fuori o dentro il matrimonio. Questione “pregiudiziale” rispetto a quella sollevata dal tribunale di Bolzano.

Un esito che può non sorprendere considerato che il giudice relatore della decisione è Giuliano Amato, lo stesso della sentenza del 2016, che già dette un colpo di piccone all’automatica attribuzione del cognome paterno al figlio legittimo, dichiarandola incostituzionale “in presenza di una diversa volontà dei genitori”. Quella sentenza, che riponeva comunque le sue speranze nella capacità di intervento del Parlamento, definì l’impossibilità per la madre di dare al figlio sin dalla nascita il proprio cognome “un’irragionevole disparità di trattamento tra i coniugi, che non trova alcuna giustificazione nella finalità di salvaguardia dell’unità familiare”. Ora si potrebbe aprire un altro varco, nel nome della parità.

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