di Agostino Spataro
Dal Giornale di Sicilia di oggi apprendiamo che “Palermo diventa polo mediterraneo per la costruzione di nuove navi: è stato firmato, infatti, nella sede di Fincantieri a Roma, da Pasqualino Monti, presidente dell’Autorità di Sistema Portuale del Mare di Sicilia occidentale, e Giuseppe Bono, amministratore delegato di Fincantieri…” Finalmente, si potrebbe dire. Dopo decenni di lotte portate avanti da un fronte di forze sociali, culturali e politiche per rivendicare la salvaguardia dei posti lavoro e un ruolo mediterraneo per il cantiere navale di Palermo.
Si é lasciato passare tanto tempo prezioso, facendo perdere tante opportunità create, in questi ultimi decenni, dalle grandi trasformazioni industriali, tecnologiche, commerciali, ecc.
Il mancato rilancio del cantiere palermitano ha provocato fenomeni di ridimensionamento, di dequalificazione, di marginalizzazione. Solo grazie alle dure lotte delle maestranze si é riusciti a impedirne la chiusura.
Eppure non era difficile capire come, a partire dalla seconda metà degli anni 70, l’asse dello sviluppo dei trasporti marittimi si spostava, sempre più, verso il Mediterraneo al centro del quale ci sono la Sicilia e il cantiere palermitano.
Si è disconosciuta la centralità mediterranea geo-economica dell’Isola, sacrificandola sull’altare della militariz-zazione (anche nucleare) e della creazione di un hub energetico (petrolio, gas, raffinazione, chimica di base, ecc) posto al servizio dello sviluppo del centro-nord italiano.
Una lotta esemplare quella per la difesa e il rilancio del cantiere navale di Palermo che é stata condotta sul terreno sociale, sindacale, ma anche in sede politica e parlamentare, soprattutto dalle forze della sinistra e in particolare dal Pci e dai suoi organi di stampa, primo fra tutti il quotidiano “l’Ora”.
Il Pci si batté per salvare e rilanciare, come polo strategico, il cantiere palermitano, in raccordo con altre strutture cantieristiche operanti nell’Isola.
Già a partire dal 1981 lanciammo l’idea-proposta di “Palermo, cantiere mediterraneo” e, in tal senso, sviluppammo diverse iniziative politiche e parlamentari (all’ Ars e alla Camera dei Deputati), anche a sostegno delle dure lotte dei lavoratori e dei loro sindacati che difendevano il posto di lavoro e il futuro del cantiere palermitano.
Dopo l’avvio felice della fase della cooperazione fra Italia, Sicilia e il mondo arabo (inaugurata con la realizzazione del grandioso metanodotto Algeria-Tunisia- Sicilia- Italia), elaborammo una vera e propria strategia di cooperazione siculo-araba che inglobava i settori più rilevanti dell’economia siciliana e dei Paesi arabi rivieraschi del Mediterraneo: dall’energia alla chimica fine; dalla cantieristica alle società miste di pesca; dai circuiti turistici integrati agli scambi culturali; dalle nuove tecnologie alle fibre ottiche; dai flussi migratori arabi verso l’Italia e la Sicilia a quelli siciliani verso i paesi arabi, dagli scambi agricoli e commerciali alla Banca mediterranea per lo sviluppo, ecc.
Insomma, una vera programmazione cui contribuirono le forze politiche presenti all’Ars, i governi regionali, i grandi Comuni, le province, le forze sindacali e imprenditoriali.
Uno sforzo immane, originale (aderente a sano spirito autonomistico) che cercai di riassumere nel mio libro “Oltre il Canale- Ipotesi di cooperazione siculo-araba” -Edizioni delle Autonomie, Roma, 1986, fra cui la problematica relativa alla cantieristica palermitana e siciliana.