L’avvocato Diego Maggio festeggia oggi il proprio compleanno. Lo trascorrerà lontano, solo fisicamente, dai figli e dagli affetti. Condizione che in questi giorni d’isolamento viviamo tutti.
La giornata è per l’avvocato Maggio lo spunto per un’ampia riflessione sui propri desideri in questi tempi d’emergenza.
La condividiamo con i nostri lettori perché riteniamo che tali desideri coincidano in buona parte con quelli di tutti noi che attendiamo, con pazienza ma con ardore, il ritorno ad una quotidianità fatta di incontri, di vicinanza, di ritmi scanditi, di ore piene ed anche di ore vuote, liberi però di assaporare il mondo che ci circonda.
Con i nostri più sinceri auguri, pubblichiamo la riflessione che l’avv. Diego Maggio rivolge ai propri concittadini:
Che regalo volete per il vostro compleanno?” domandavo ai miei figli quando erano piccoli. E ne accontentavo i desideri, conciliandoli con le mie possibilità di giovane padre e con un briciolo di pedagogia imparata in quell’utile Corso per Genitori organizzato dalla parrocchia.
Lo hanno chiesto a me, adesso che i miei anni superano la somma dei loro. “Te lo facciamo arrivare a casa, con Amazon” – hanno assicurato – “così non dovrai neanche violare la quarantena per andare a ritirare il pacco”.
“Vorrei soltanto salute e pace”, rispondo oggi per Whatsapp, nella chat del gruppo di famiglia. “E che – aggiungo – dopo tanti mesi di lavoro e lontananza per Pasqua tornaste qui a casa ”.
Sappiamo bene tutti che mentre cerchiamo (con gli strumenti contemporanei) di coltivare le buone abitudini familiari, i notiziari forniscono il resoconto delle migliaia di vite che si spengono ogni giorno. Ma il pensiero ha bisogno di ancoraggi, per non naufragare nello smarrimento che tutti ci angoscia da quando è in corso questa epidemia senza misure né scadenza.
“Sì, non desidero altro che una buona salute” – continuo a digitare, tutto d’un fiato – “e l’armonia della normalità, anzi un miglioramento del contesto ambientale e della mia vita soprattutto interiore. Riconciliarmi con le persone che ho allontanato, recuperare le relazioni umane trascurate, riannodare i fili di amicizie dimenticate. Scacciare l’incubo della “fame d’aria” e riscoprire quell’altro appetito buono che mi assale ai soli antipasti di quella trattoria dentro le mura. Riunirmi ancora con i compagni di scuola, come facciamo da quella maturità al Liceo, così gagliarda e lontana. Vorrei tornare allo stadio a tifare per la mia squadra azzurra, a veder ondeggiare la ola fra le gradinate, ad urlare dopo il gol. E vorrei le Olimpiadi in televisione, andare di nuovo alla fiera del vino in aprile, al mercatino del martedì e delle verdure a…centimetri zero. E l’autolavaggio col gettone, e i saluti nell’ascensore condominiale, e tornare a casa, dalla passeggiata al Cassaro, col vassoio degli sfinciùna di San Giuseppe. Vorrei scambiare quattro chiacchiere con la gente a piazza Loggia, ascoltando dai molti che mi conoscono il diffuso desiderio di vedersi rappresentati da “onorevoli” che riportino finalmente in alto la città e che si sentano davvero…onorati già della fiducia popolare ricevuta, rinunciando ai loro vitalizi o compensi, comunque sproporzionati, in favore di chi non riesce a fare la spesa e si trova pure in casa qualche disabile bisognoso di assistenza. Vorrei che con l’acqua santa venisse benedetto, fra i tanti, il mio ramoscello d’ulivo alla Domenica delle Palme, sul sagrato della Matrice traboccante di marsalesi solidali e commossi: che si abbracciano e baciano a doppia guancia, come ai vecchi tempi. E vorrei assistere di nuovo alla caduta del Cristo con la corona di spine nella Via Crucis recitata per le strade il Giovedì Santo, ascoltando l’abbanniàta dei venditori di nucìddre, càlia e simènza. E poi arrostire carcòccioli nella scampagnata a Pasquetta, con gli amici di una vita. E vedere il fumo uscire dai comignoli dei nostri panifici col forno a legna, e sentire il vociàre dei ragazzi nelle ricreazioni delle scuole riaperte e nelle partite in quel campo dell’Oratorio in cui sono cresciuto. Vorrei riavere occasioni di incontro autentico, in una sala conferenze magari per la presentazione di un libro, per guardare tutti negli occhi e ascoltare “dal vivo” le idee che circolano: non più virtualmente con messaggi sul telefonino” – come invece sto facendo in questo momento – “con tutti gli equivoci che certe parole, non connesse ad un atteggiamento o ad una postura, possono far nascere pure fra persone che si conoscono da tempo. Vorrei tornare ad intrattenermi con chi incrocio fra gli scaffalati corridoi del supermercato, parlare del tempo siccitoso e delle mezze stagioni che non esistono più, di quel rigore non concesso da un arbitro passibile di sospetti, di quel progetto sul porto che non parte mai, di quel vino che non compriamo ma che diciamo di amare solo perché porta il nome della nostra città. Vorrei tampasiàre lungo lo Stagnone mentre il sole cala sulle saline che sempre affascinano pure chi è appena sbarcato da quel volo partito da Tampère. Vorrei andare in giro in bicicletta e addentare le panelle calde di quel chiosco antico a Porticella. Vorrei riascoltare il frastuono dei tamburi e delle nàcchere degli ultràs e il rimbombo dei palloni dopo le schiacciate in quel palazzetto/palestra di precarietà definitiva. E sentir riecheggiare, all’ora di pranzo, quella vecchia sigla del telegiornale in concomitanza agli spaghetti fumanti da scolare, senza più temere un bollettino da ecatombe umana.”
“E infine vorrei, come facevo di sabato, portare ancora a mia madre e a mio padre i gigli nati spontaneamente accanto a quell’albero di araucaria che piantai quando voi nasceste, figli miei. “Ecco –scrivo nel social, a conclusione del messaggio – “tutti questi sono i regali che, a viso scoperto, senza più…mascherine né ipocrisie, vorrei per questo mio compleanno !”.
Ma rileggendone la lista, prima del tasto “invio”, capisco che forse sto chiedendo troppo. E che magari sto sognando.
Oppure no. DIEGO MAGGIO