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Palermo. Spazio Franco: Studio per contrabbasso di e con Giuseppe Sangiorgi e le musiche dal vivo di Damiano D’Amico

Mercoledì 11 dicembre, alle 21:00, debutta in prima nazionale, sul palcoscenico dei Cantieri Culturali alla Zisa di Palermo, lo Spazio Franco, Studio per contrabbasso una rilettura in chiave contemporanea dell’unica drammaturgia dello scrittore russo Patrick Suskind a opera di Giuseppe Sangiorgi, regista e interprete, e del musicista Damiano D’Amico, primo contrabbasso della Foss (Fondazione Orchestra Sinfonica Siciliana), che ha curato la partitura sonora dello spettacolo. 

È la storia di un uomo, Lui (non si conosce il suo nome), chiuso in una stanza a isolamento acustico, che parla con un interlocutore (non ben definito) di sé, della sua vita e del suo contrabbasso. Lui è un contrabbassista di fila, perso nella massa dei contrabbassisti (arrivano ad essere anche in dodici a volte) che popolano l’Orchestra di Stato di un’importante città tedesca. Nessuno lo nota, nessuno lo ama, lui stesso si ama molto poco. Ancora meno ama il suo contrabbasso, croce e delizia delle sue aspirazioni, strumento dalle incredibili possibilità timbriche, eppure relegato alla mera funzione di sottofondo ritmico-sonoro: senza di lui l’orchestra esploderebbe in una “confusione linguistica di tipo babilonese”. Eppure nessuno lo apprezza, nessuno lo avverte. Questo l’impulso che genera il suo ininterrotto flusso di coscienza durante il quale snoda le proprie frustrazioni, i desideri, l’odio nei confronti di un ruolo che lo relega a ultima ruota del carro. Una parabola tragicomica che celebra l’impossibilità dell’autoaffermazione: vorrebbe essere un solista ma non si esercita abbastanza, vorrebbe conquistare una fascinosa giovane soprano ma non ha la forza di rivolgerle la parola, vorrebbe liberarsi della soffocante sicurezza del posto fisso ma non osa licenziarsi. Questa cascata di parole viene sollecitato dalle numerose birre che continua a bere. E più beve, più “quella maledetta cassa” del contrabbasso diventa ingombrante e la stanza diventa sempre più piccola. Alla fine decide di fare una follia: andare all’opera, sedersi al suo posto, tendere l’archetto, aspettare l’ultimo colpo di tosse prima dell’inizio, e non appena il direttore alza le braccia per dare l’attacco, urlare il nome dell’amata “Sarha!!” In un colpo solo otterrebbe il licenziamento, si dichiarerebbe all’amata e avvierebbe finalmente una luminosa carriera da solista. Troverà il coraggio? 

Questa la narrazione di Suskind che Sangiorgi rivisita e tenta di fare propria: “Avvertii immediatamente la necessità di personalizzarlo, era fondamentale un lavoro drammaturgico accurato: iniziai con l’utilizzare la materia che mi interessava e lavorarla finché non l’avessi riconosciuta nostra” racconta il regista nelle note che accompagnano il testo. E continua: “Così è iniziato un lungo periodo di ‘tavolino’ (circa un anno), durante il quale ci si è confrontati, si è raccolto materiale musicale, esaminato quello testuale, si è scartato quello in eccesso, innestato altro ex novo, riscritto parte di quello esistente, un lavoro che alla fine ha portato ad una partitura composta da parole, note e azioni, una struttura complessa attraverso la quale far vivere i nostri due personaggi.”

Giuseppe Sangiorgi in effetti amplia la struttura del monologo proponendo un’originale versione “a due” che rivela immediatamente la doppiezza del personaggio immaginato da Suskind e costituisce l’atmosfera metafisica di questo spettacolo. 

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