Rosa e Savina Pilliu combattono da
trent’anni contro il palazzo di fronte alle loro due case, dove per anni hanno
trovato una base e un nascondiglio i più pericolosi boss del mafia che hanno
insanguinato l’Italia negli anni delle stragi. Nessuno è riuscito a portargli
via le loro casette, ma oggi devono combattere per rimetterle in piedi. Nina
Palmieri delle Iene ha raccontato ieri, 8 dicembre 2019, questa incredibile
storia di coraggio e resistenza.
Per dare un’ulteriore mano concreta alle Sorelle
Pilliu è partita una campagna di crowdfunding a cura dell’Associazione Amunì:
È il momento di dare un aiuto concreto a Rosa e Savina
che si trovano a continuare a dover combattere questi soprusi in condizioni
sempre più difficili a causa delle difficoltà economiche e fisiche. Per questo
noi di Amuní (Associazione di promozione sociale Amunì ) abbiamo deciso di
avviare una raccolta fondi per aiutare Rosa e Savina. Ogni singolo euro
ricavato sarà donato alle due sorelle per aiutarle nella loro battaglia e non
lasciarle più sole. Rosa e Savina non le hanno fermate con le minacce, non le
hanno fermate con le intimidazioni. Rosa e Savina rappresentano la vera Sicilia
ed i veri Siciliani. Rosa e Savina ci ricordano come il mondo è alla rovescia e
sta a noi riportarlo alla normalità.
Vedi il servizio completo delle Iene: https://www.iene.mediaset.it/video/nina-app-in-salsa-mafiosa_627247.shtml
CHI SIAMO?
Siamo un gruppo di persone, giovani e meno
giovani, molto simili a te che stai leggendo, desiderosi di rimanere a vivere
in questo paese, perchè crediamo la Sicilia ha tanto da offrirci, sta a noi
riuscire a tirar fuori le potenzialità inespresse e trasformarle in nuova
energia propulsiva. Abbiamo voglia di scrivere una nuova storia, perché
crediamo fermamente che ci sia ancora spazio per chi vuole restare ed credere
in questa Terra.
Costruire il nostro futuro altrove non deve
essere una scelta obbligata o l’unica via percorribile!
PERCHE’ “Amunì”?
Amunì è un’esortazione in dialetto siciliano che
si traduce in “andiamo” e in maniera figurata in “diamoci una mossa”. Per noi
“Amunì” rappresenta l’impegno di centinaia di giovani e meno giovani che
vogliono rimboccarsi le maniche e credere che ci sia ancora qualcosa da “fare”
per salvare questo paese!
STORIA COMPLETA DALLE IENE
Rosa e Savina Pilliu combatto da trent’anni
contro il palazzo di fronte alle loro due case e contro ciò che rappresenta: la
mafia. Nina Palmieri racconta la storia di queste sorelle coraggiose, che
ancora oggi continuano a combattere per i loro diritti
Siamo a Palermo. Da una parte c’è un palazzo
simbolo della mafia, dall’altra due casette che resistono da 30 anni proprio
alla mafia. In quelle casette ci abitavano due sorelle: Rosa e Savina
Pilliu. Dall’altra parte Stefano Bontate, Leoluca Bagarella, Giovanni Brusca: alcuni
dei più pericolosi boss che hanno insanguinato l’Italia negli anni delle stragi
si nascondevano negli appartamenti di quel palazzo.
Savina Pilliu e sua sorella Rosa
nascono a Palermo e crescono con la madre. Hanno una vita tranquilla e mandano
avanti un piccolo negozio di alimentari. Un giorno, a inizi anni ’80, il
terreno dove sono le loro casette attira l’interesse di un imprenditore che le
vorrebbe abbattere per costruire un palazzone di nove piani. “È venuto Rosario
Spatola, che voleva acquistare le case che possedeva mia madre”. Si tratta di
uno dei più importanti costruttori di Palermo ed esponente di spicco di una
delle più potenti cosche mafiose italo americane. Il terreno accanto alle
casette delle sorelle va a finire nelle mani di Pietro Lo Sicco, un benzinaio
diventato imprenditore.
I proprietari delle altre casette iniziano a
vendere a quel costruttore per fare spazio al palazzone. Ma Savina, Rosa e la
loro mamma non cedono. Così arrivano le prime minacce: “Ci hanno fatto trovare
i fusti (i barili di cemento in cui possono essere nascosti per sempre i corpi,
ndr): nel linguaggio mafioso i fusti vogliono dire che ci finirai dentro”. Le
Pilliu infatti per Lo Sicco rappresentano un grande problema: se loro non
vendono le loro casette il palazzo non può essere costruito.
Così Lo Sicco va in comune e ottiene il permesso
a costruire. Savina scopre poi che l’imprenditore si era dichiarato
proprietario delle loro case. Le due sorelle denunciano l’abuso, ma non succede
niente. L’unica cosa a muoversi sono le ruspe di Lo Sicco, che rendono sempre
più instabili le loro casette. Solo una persona dà retta alle sorelle: il
giudice Paolo Borsellino. “Nel ’92 siamo state più volte a raccontargli tutto”,
dice Savina.
Tra gli uomini interessati a quel palazzo ci sono
quelli che avevano partecipato all’omicidio di Giovanni Falcone. Uno di questi
è Giovanni Brusca, l’uomo che ha azionato il telecomando della strage di
Capaci. Brusca comprerà un appartamento nel palazzo di Lo Sicco e proprio lì
trascorrerà parte della sua latitanza. Ma Borsellino non avrà tempo di
occuparsi di quel palazzo e dei suoi futuri inquilini perché proprio da quel
palazzo sarebbe partita la macchina che lo ucciderà.
Savina continua a denunciare Lo Sicco, ma le
cose sono sempre più difficili: “Il pm continuava ad archiviare”. E intanto il
palazzo è costruito, con i suoi nascondigli per armi e vie di fuga per
latitanti. Dopo anni però qualcuno finalmente la ascolta: Lo Sicco finisce
sotto processo. “Dal procedimento è emerso che Lo Sicco ha dato 25 milioni
all’assessore per il rilascio della concessione senza avere gli atti di
proprietà”, dice Savina a Nina Palmieri. Ma si scopre pure che dietro alle
società di Lo Sicco c’erano importanti boss mafiosi. Lo Sicco viene arrestato
nel ’98 proprio grazie alle denunce e testimonianze delle sorelle Pilliu. “Ci
hanno offerto il programma di protezione”, racconta Savina. “Ci avrebbero
pagato 4 milioni e dovevamo andare via da Palermo cambiando cognome. Ho detto
che accettavo. Ma perché devo andarmene in esilio io? Così non mi hanno dato
niente perché non me ne volevo andare”.
Le due sorelle hanno testimoniato al processo
contro Lo Sicco ma a Palermo per loro le cose sono sempre più difficili. “Ci
siamo ritrovate senza amicizie e senza clienti”, racconta Savina. “Viviamo con
la pensione di mia sorella”. Sua sorella Rosa, con la quale Savina ha condiviso
ogni momento della battaglia, fino a che Rosa piano piano ha iniziato a perdere
la memoria per l’Alzheimer.
I soldi per avere una vita dignitosa e aiutare
la sorella Savina li potrebbe avere dallo Stato. “Lo Stato doveva appoggiarmi,
non abbandonarmi”, dice.
Dopo l’arresto di Lo Sicco, tutti i suoi beni
vengono sequestrati e il suo patrimonio passa sotto il controllo del tribunale
che lo gestisce tramite un amministratore giudiziario.
“Doveva mettere in sicurezza gli immobili”,
spiega Savina. Cioè doveva mettere in sicurezza le casine. “Il tecnico è venuto
a fare un sopralluogo e ha detto che non c’era nessun problema. Ma dopo poco le
case sono crollate”. Oltre al danno la beffa: “Siamo state rinviate a giudizio
per crollo colposo”. Ci vorranno sette anni di processo per dimostrare che
Savina e sua sorella sono innocenti.
“Nel 2018 ho vinto la causa e mi è stato
riconosciuto che devo avere i soldi per riparare le case”. E Savina ha ben
chiaro chi dovrebbe darglieli: “Se io il danno l’ho avuto da un mafioso e lo
Stato si prende beni del mafioso, non dev’essere lo Stato a pagarmi?”. Insomma,
a pagare Savina dovrebbe essere l’Agenzia di beni confiscati che dopo la
condanna definitiva di Lo Sicco per reati di mafia, ha visto entrare oltre 100
milioni di euro. “Non ci hanno risposto né sì né no”, dice Savina. “Ho fatto la
domanda al Fondo vittime di mafia e mi è stata rigettata perché dicono che non
sono vittima di mafia”.
“Perché devo ancora combattere per vedere
riconosciuti i miei diritti?”. Abbiamo provato ad avere un incontro con il
sindaco di Palermo Orlando. Ma non ci siamo riusciti. Eppure quello di Savina e
Rosa è un sogno importante: “Con le casette voglio farci delle piccole attività
artigianali che non saranno soggette a pizzo perché sono simbolo della
legalità. Sono nate legali e devono morire legali”.