Tutti i movimenti siciliani del Tavolo per la Costituente tornano a riunirsi, stavolta a Caltanissetta, il prossimo sabato 23 novembre 2019. Ognuno cercherà di proporre un indirizzo politico che il futuro movimento o partito dovrà adottare.
Enzo Maiorana, presidente di Noi Meridionali, e Adriano Nicosia, coordinatore regionale, ci danno un’idea della loro mozione:
Il costituendo soggetto politico dovrà distinguersi, immancabilmente, per un marcato e indiscutibile senso di appartenenza alla Sicilia e per una classe dirigente che io definisco di fede siciliana.
La nostra terra ha mille problemi e una sola ed esclusiva necessità: una vera classe politica che creda e si batta per il pieno sviluppo del territorio, valorizzando tutto quello che di buono possiede e, soprattutto, che non pieghi la schiena di fronte alle prime difficoltà o ai potenti. L’unica matrice ideologica è la Sicilia.
Impegnarsi per la propria terra non deve tradursi in una guerra per togliere o limitare diritti e risorse ad altri, ma, nel nostro specifico caso, vuol dire difendere con fermezza quello che è nostro, quello che ci è stato sottratto e che si continua a rubare; significa non arretrare e non accettare condizioni di vita, per il popolo siciliano, che siano sotto la soglia di uno sviluppo dignitoso, civile e giusto.
L’unica speranza dei siciliani e della Sicilia è un partito autorevole siciliano che faccia valere gli interessi della Regione, diametralmente opposti a quelli dello Stato Italiano, e che coltivi una visione di società che garantisca, a ogni individuo, il diritto di esprimersi professionalmente, nelle proprie arti, agevolandolo a creare un tenore di vita sufficiente a garantire il proprio benessere e quello della sua famiglia.
Lo Statuto Siciliano, in particolare l’art. 14, assegna alla Sicilia competenza esclusiva su moltissime materie, tra cui:
- Industria e commercio;
- Agricoltura e foreste;
- Pesca e caccia;
- Urbanistica;
- Lavori pubblici;
- Turismo;
- Istruzione elementare, musei, biblioteche, accademie.
C’è molto da fare, ma uno dei principali punti su cui il costituendo soggetto politico deve porre l’attenzione, e per cui deve battersi, è l’art. 36, in materia di autonomia finanziaria. L’art. 36 è rimasto nel limbo per mancanza dei decreti attuativi che il Governo centrale, in poco più di 70 anni, non ha mai emanato.
Se proprio dobbiamo sostenere la verità, la colpa non è stata esclusivamente del Governo di Roma, ma di tutta la classe politica siciliana connivente e serva, che si è alternata ai Governi della Regione Siciliana in tutti questi anni. È stata totalmente dormiente su questo punto, facendosi umiliare costantemente, attraverso i continui furti e i crediti svenduti per fare un favore a Roma o per barattare un interesse personale.
Alla Sicilia competono tributi propri, mentre allo Stato sono riservate alcune imposte su cui si dovrebbe e ci sarebbe molto da discutere.
L’art. 36 è un nostro diritto, così recita:
1. Al fabbisogno finanziario della Regione si provvede con i redditi patrimoniali della Regione e a mezzo di tributi, deliberati dalla medesima.
2. Sono però riservate allo Stato le imposte di produzione e le entrate dei monopoli dei tabacchi e del lotto.
È una grande anomalia, senza l’autonomia finanziaria non avremmo neanche i fondi per la minima efficienza della macchina amministrativa. Di fatto, lo Stato ci affida competenze per 100 e ci ritorna risorse per 70. È una coperta troppo corta, che negli anni si riduce sempre di più e che ci costringe a indebitarci continuamente e a tagliare servizi necessari.
Se avessimo avuto l’applicazione dello Statuto, per come dovrebbe essere, la Sicilia avrebbe avuto, da stime elaborate, maggiori entrate per circa 10 miliardi di euro l’anno. Avremmo immediatamente cancellato, in un sol colpo e in un solo anno, l’intero debito pubblico della Regione Siciliana, pari a circa 7 miliardi di euro, che l’attuale presidente Musumeci ha cercato di spalmare nei prossimi 10 anni.
È di ieri la notizia, giorno 20 novembre 2019, pubblicata dal quotidiano La Sicilia, che riportava il versamento di 64 milioni di tasse alle casse della Sicilia, da parte di UniCredit, in pieno rispetto all’art 37 del nostro Statuto speciale.
È il secondo anno che l’ente bancario versa i tributi, ma tutti gli anni precedenti, dove sono finiti? Inoltre, sorge un altro dubbio: se solo Unicredit versa tributi per 64 milioni, quale sarebbe il totale in termini assoluti che ne deriverebbe da tutte le attività produttive operanti nell’isola?
Da molti anni ci battiamo e ricordiamo alla politica la Questione finanziaria siciliana. Finalmente qualcosa si muove, MA NON BASTA! Sono tante le attività che devono pagare e non hanno mai versato un centesimo, o pagano Roma, disattendendo, di fatto, il nostro diritto e il nostro Statuto.
Siamo convinti che i tributi spettanti alla Sicilia siano di qualche miliardo di euro. All’appello, ne mancano ancora tanti.
I mancati introiti producono tagli che colpiscono tutti i settori: abbiamo una sanità in ginocchio, ammesso che si trovi; strutture fatiscenti; strade e autostrade dissestate e / o incompiute; servizi inesistenti, etc etc.
Alla Sicilia sono stati assegnati più i doveri che l’applicazione dei diritti. Queste stime sono fondamentali e penso che il costituendo soggetto politico debba farsi carico della difesa di questi diritti e di quello che è realizzabile, attraverso una proposizione seria, determinata e costruttiva.