Un nuovo inquietante tassello si aggiunge alle indagini infinite riguardanti la strage di via D’Amelio in cui morirono il giudice Paolo Borsellino e 5
uomini di scorta. L’autobomba, una 126 beige imbottita con 90 chilogrammi di esplosivo del tipo Semtex-H, scoppiò sotto la casa della madre del magistrato proprio quando Borsellino suonò il citofono quel pomeriggio del 19 luglio del 1992. A 27 anni di distanza, la procura di Messina ha iscritto nel registro degli indagati, con l’accusa di calunnia aggravata, due ex magistrati della procura di Caltanissetta, Annamaria Palma e Carmelo Petralia. I due si occuparono della prima inchiesta raccogliendo le dichiarazioni del “falso” pentito Vincenzo Scarantino, il quale si autoaccusò di aver procurato lui, alla mafia, l’auto da piazzare in via D’Amelio.
Ai due magistrati è stato notificato dalla Dia di Catania un avviso per “un accertamento tecnico irripetibile che si terrà il prossimo 19 giugno al Racis dei carabinieri, a Roma”. Maurizio De Lucia è il pm che ha in mano la nuova inchiesta sul depistaggio che sarebbe stato creato ad arte per intorbidire la verità sui mandanti occulti della strage, trasformando Scarantino, picciotto del quartiere “Guadagna”, in un affidabile pentito di mafia. Il processo sul depistaggio vede tuttora indagati 3 poliziotti. Si tratta del dirigente Mario Bo’, di Fabrizio Mattei e Michele Ribaudo, sottoufficiali di polizia, tutti e 3 accusati di aver contribuito a creare il falso pentito Scarantino, che per anni ha tenuto lontana la verità sulla strage Borsellino.
Sarebbe stato l’allora capo della squadra mobile di Palermo Arnaldo La Barbera (morto nel 2002), ad aver “imboccato” Scarantino. Depistaggio e sparizione della famosa Agenda rossa sarebbero collegati.