Antonio Di Liberto, ammazzato ieri in via Umbria a Belmonte Mezzagno mentre era all’interno della sua BMW station wagon con 6 colpi di pistola calibro 7,65 era un commercialista, sposato e padre di tre figli, ma anche il fratello dell’ex sindaco di Belmonte Mezzagno Pietro Di Liberto. Di Liberto era anche cugino di secondo grado di Filippo Bisconti, il boss del paese arrestato nell’operazione dei carabinieri “Cupola 2” in cui la Dda di Palermo aveva bloccato la ricostituzione della “commissione provinciale” di Cosa nostra. Secondo il quotidiano Palermo Repubblica, Bisconti era considerato uno dei tre capimafia più influenti della nuova cupola e una volta arrestato aveva deciso di pentirsi ma questa collaborazione non è considerato il movente del suo omicidio. Questa parentela aveva semmai creato problemi al fratello ex sindaco quando la Prefettura di Palermo aveva informato l’Enel del rischio di infiltrazioni mafiose dovute al fatto che Di Liberto lavorava in un’impresa che aveva ricevuto subappalti dall’Enel. Il colosso dell’energia “revocò quindi ogni appalto, chiudendo i rapporti con l’azienda di Di Liberto”.
Fra le ipotesi sul movente dell’omicidio si segue la pista dei soldi. Di Liberto, in quanto commercialista, teneva i conti di alcune aziende considerate in odor di mafia, e forse questi conti non tornavano. Senza più la “protezione” del cugino boss, alcune irregolarità potrebbero essersi evidenziate e dunque è scattato l’agguato nella stradina sterrata a pochi metri dalla villa in cui abitava con la sua famiglia.
Un’esecuzione in perfetto stile mafioso. Antonio Di Liberto non doveva sopravvivere all’agguato scattato ieri mattina, poco dopo le 9, in via Umbria a Belmonte Mezzagno. Non era un avvertimento per il commercialista, 49 anni, incensurato: chi ha premuto il grilletto della pistola semiautomatica calibro 7,65 voleva ucciderlo e ha esploso sei colpi mirando alla testa. Gli inquirenti della Dda di Palermo stanno indagando soprattutto nell’ambiente mafioso del mandamento di Belmonte, dove gli arresti dei mesi scorsi hanno lasciato un vuoto di potere. La vittima era cugino di secondo grado del boss Filippo Bisconti, l’ultimo pentito di Cosa nostra, ed era il commercialista di molte aziende e società del territorio, alcune in odor di mafia, altre in amministrazione giudiziaria perché riconducibili ai clan.
Il sicario ha atteso che Di Liberto uscisse di casa per andare al lavoro nel suo studio di Belmonte Mezzagno, che si mettesse alla guida della Bmw, sulla stradina sterrata davanti a casa, e poi ha sparato guardandolo negli occhi. Quattro colpi frontali che hanno bucato il parabrezza della station wagon. Poi, una volta fermo, il killer si è avvicinato e ha sparato altri due colpi ravvicinati dal lato guida, mandando in frantumi entrambi i finestrini anteriori. Dei sei colpi esplosi, quattro hanno raggiunto Di Liberto alla testa e al busto, uccidendolo all’istante.
Secondo la prima ricostruzione dei carabinieri del Reparto operativo, a sparare sarebbe stata un’unica arma e dunque una sola mano. Se il sicario fosse solo o avesse un complice non è ancora stato accertato. Nella zona non ci sono telecamere, se non quelle della villetta di Di Liberto, a una cinquantina di metri dal luogo dell’agguato, e che pare non inquadrino la scena dell’omicidio. Le vie di fuga sono moltissime e chi ha sparato potrebbe essere scappato, sia in moto che in auto, in entrambe le direzioni di via Umbria, ma anche attraverso le molte trazzere che si incrociano in quella porzione di collina a ridosso del centro abitato.
Di Liberto, sposato e padre di tre figli, è il fratello dell’ex sindaco di Belmonte Mezzagno Pietro Di Liberto. Ma è anche cugino di secondo grado di Filippo Bisconti, il boss del paese arrestato nell’operazione dei carabinieri “Cupola 2” in cui la Dda di Palermo bloccò la ricostituzione della “commissione provinciale” di Cosa nostra. Una volta arrestato, Bisconti, considerato uno dei tre capimafia più influenti della nuova cupola, ha deciso di pentirsi e da mesi sta parlando con i sostituti procuratori antimafia. Questa collaborazione fa sicuramente paura ai clan, ma secondo gli investigatori non abbastanza da uccidere un cugino per dare a Bisconti il segnale di tacere.
La parentela ingombrante già nel 2011 aveva creato qualche problema al fratello, Pietro Di Liberto: la prefettura di Palermo informò l’Enel del rischio di infiltrazioni mafiose dovute al fatto che Di Liberto lavorava in un’impresa che aveva ricevuto subappalti dall’Enel. Il colosso dell’energia revocò quindi ogni appalto, chiudendo i rapporti con l’azienda di Di Liberto.
Fra le ipotesi sul movente dell’omicidio c’è anche la pista dei soldi. La vittima teneva i conti di alcune aziende considerate in odor di mafia, e forse questi conti non tornavano. Senza più la “protezione” del cugino boss, ieri i nodi potrebbero essere venuti al pettine.