Il braccio e la mente. Così potremmo definire i due protagonisti della maxi truffa all’erario escogitata per pagare meno tasse. Stiamo parlando di Rosario Marchese, commercialista di Gela, 36 anni, “mente del sistema” accusato di aver creato falsi crediti d’imposta per frodare l’erario. Marchese avrebbe simulato investimenti di alcune ditte del nord Italia in aree svantaggiate del Sud ma solo per ottenere “compensazioni utili ad aziende in difficoltà che si rivolgevano a Marchese per ottenere la sua consulenza”.
La Procura di Gela e la Guardia di Finanza, però, hanno scoperto l’inganno e per Marchese sono iniziati i guai giudiziari. Ora, in manette, è finito anche il socio di Rosario Marchese, braccio destro del commercialista. Giuseppe Nastasi, 35 anni, anch’esso di Gela, faceva il prestanome di aziende fantasma così come Salvatore Sambito, 38 anni, di Palma di Montechiaro, commercialista e revisore contabile; Roberto Goldaperini, 58 anni, di Milano, avvocato, con l’incarico di risolutore delle controversie; Gianfranco Casassa, 54 anni, di Brescia, procacciatore al Nord di aziende in crisi da risanare illecitamente; Rosario Barragato, 46 anni, di Palma di Montechiaro, referente per le aziende del Sud.
Coinvolti nelle indagini 66 persone e 51 imprese. Le Fiamme gialle hanno inoltre sequestrato i beni nella disponibilità dei sei arrestati per un valore di 22 milioni di euro, pari all’ammontare della truffa in danno dello Stato.
Rosario Marchese, ha creato il suo impero economico con imprese di noleggio auto e barche. Aveva anche sponsorizzato eventi paralleli al Festival di Sanremo e aveva una holding nel centro di Milano, in via Montenapoleone. Recentemente, Marchese, è stato accusato di essere “a disposizione” della famiglia mafiosa “Rinzivillo” in quanto ritenuto dalla magistratura prestanome della cosca mafiosa.
“Tramite professionisti si creavano falsi crediti d’impresa che poi venivano ceduti da aziende fantasma con cui compensare i debiti. Da notare che questi crediti non possono essere ceduti, per legge”, racconta il procuratore di Gela Asaro che ha lavorato all’inchiesta, insieme alla sostituta Eugenia Belmonte.