Un posto bellissimo, magico. Un immobile gioco di movimenti, di luci itineranti, cangianti, sublimi. Eterno divenire e dialogo nel millenario scenario fatto di sale e di nitore, di limpidezza cinerea e atavica, di silenzio e solitudine armoniosa. E quel profumo che permea, avvolge, aggrega e cura le ferite dell’anima, tutto concilia e tutto sana. Passeggiare allo Stagnone è taumaturgia e Nemesi. Si torna a essere ciò che si era, ciò che si è, ciò che si dovrebbe essere, celebrando il Nume Primario o Demone che ci conduce e ci ricrea, integri, sanati e rinati appunto. Lo stagnone non è soltanto mare e sale. E’ purezza di linee armoniose, è luce forte e morbida, è specchio dell’anima. Chi giunge allo Stagnone ne è rapito, vinto, sedotto. Il sole che tramonta, inghiottito da quel mare perpetuo ed immobile è magia quotidiana. Ogni giorno uguale e diverso in quello specchio d’acque senza pari. Tutto questo chi ama lo Stagnone lo sa, lo sente. Anche chi vi giunge, lo sente e mai più vorrebbe discostarsene. E poi ci sono i moli per osservare meglio e più da vicino quel mare salmastro e caldo. Quei pontili di legno tirati su agli inizi degli anni 2000, che adesso, a distanza di quasi vent’anni, affondano in quel mare che, seppur calmo, erode, mangia, inghiotte. Senza alcuna manutenzione, i solarium tanto amati da chi ama stare seduto o disteso godendo della brezza marina senza stare sulla sabbia o sugli scogli, affondano impietosamente. Doghe saltate, erose dal sale e dall’acqua, rendono pericoloso il cammino verso l’Immensità, verso quella Conciliazione percepita guardando l’orizzonte. Ma non sono soltanto i moli ad “affondare” nel mare dell’imperizia e dell’incuria. Lo Stagnone è abbandonato al suo destino. Sporcizia e degrado fanno da corollario ad un posto magnifico, deturpano la naturale bellezza del luogo e sono la squallida coreografia di un “Tempo” che ha deciso di eclissarsi. Il mare della Laguna immota è da tempo poco ossigenato. Il ricambio delle acqua è reso difficile dalla quasi occlusione della bocca nord, quasi chiusa da “un guado di detriti”, da sedimenti che si depositano impedendo il ricambio delle acque. Abbiamo intervistato un marsalese, nato e cresciuto su queste acque magiche. Il suo è un urlo d’ amore e di dolore, un’altra, l’ennesima, ode allo Stagnone.
Tiziana Sferruggia