Di seguito una analisi della prima serata del Festival di Sanremo fatta da Giulia Scirè.
PRIMA SERATA:
Non ho potuto fare a meno di dilungarmi, anche solo per divertirmi un po’ da sola considerata la noia mortale da cui sono stata assalita durante questa prima serata.
Buona lettura a chi ne avrà voglia!
Inizia la prima puntata.
Carlo Conti è tra noi. Non si è rassegnato alla conduzione di Baglioni. E allora impone l’ingresso di Sanremo come una puntata di Tale e Quale qualsiasi.
Ora, io comprendo il volersi avvicinare ai giovani in qualsiasi modo, ma il botta e risposta tra Baglioni e l’Orchestra in stile vocalist da discoteca non è il modo giusto. Anche meno.
Parliamo del discorso d’apertura di Baglioni?! Già che concentrarsi su quello che dice senza ridere per come e quanto legga il gobbo è difficile, ma ad un certo punto si è intricato così tanto che sono andata a cercare il libro di filosofia per capirlo.
BAGLIONI, BISIO, RAFFAELE: non posso fare a meno di cumularli perché non sono pervenuti. Va bene che la prima serata serve ad ingranare, ma così è troppo!
Baglioni che appena vede qualcuno cantare si infila come la rucola tra i denti, manca poco e duetta pure con i cantanti in gara.
Virginia Raffaele, che generalmente trovo frizzante, spontanea, ironica e intelligente, l’ho trovata ridondante e costruita, salvo solo il momento con Favino.
Claudio Bisio ha appena acceso la macchina, non ha nemmeno ingranato la prima. Il monologo su Baglioni e la polemica con i giornalisti era un’idea carina fino a quando non ha chiesto di interrompere la polemica con una vena polemica. Ho già scritto polemica?! Bisio, un consiglio, ad ognuno il suo lavoro.
BOCELLI: invitare Bocelli al festival in cui è in gara il Volo è un colpo basso.
Finalmente qualcuno che canta, nel senso vero.
Emozionante l’esibizione con il figlio. Un bel momento davvero.
GIORGIA: bellissima voce sempre, ma posso dire che secondo me sta iniziando ad essere un tantino eccessiva in favore dei virtuosismi perdendo un po’ di emozione?!
Non uccidetemi.
CLAUDIO SANTAMARIA: non si può alle 00:10 cantare “Nella Vecchia Fattoria”. No, nemmeno se nel mezzo inseriamo un mashup swing (trito e ritrito) e nemmeno se a cantare con voi c’è uno degli attori italiani che preferisco.
FAVINO: vi prego, non ditemi che non vi manca. Ha i tempi giusti, l’eleganza, la versatilità.
Lo sketch sul musical dell’anno è stato divertente, ben strutturato e un tributo all’orchestra.
E credo sia la sintesi perfetta del carattere di ognuno: rock e malinconico, romantico e sognatore, grintoso e speranzoso. E no, nessuno di noi soffre di personalità multipla.
I CANTANTI:
Renga. Bello è bello. Ah, siamo a Sanremo. Bravo è bravo. E allora?
Niente, ormai ci siamo abituati a sentirlo così: inizio sussurrato con i suoi contro canti in sottofondo, ritornello che si apre. Archi.
Da riascoltare, ma sembra già sentito.
Cori e D’Angelo. Ho visto Gomorra e non ho mai avuto alcuna difficoltà a capire i discorsi. Non ho compreso una sola parola di quello che hanno cantato. Sono stata in Tunisia e ho ascoltato la musica che passava in radio: speriamo che nessuno da quelle parti stia ascoltando il Festival, altrimenti il plagio è assicurato.
Nek. Fuori due. Già l’ultima volta che aveva partecipato a Sanremo aveva portato una intro simile ad una canzone di Mengoni, anche in questo caso, intro uguale alla canzone di Mengoni. Abbiamo capito chi è il fan numero 1.
The Zen Circus. Non sapevo che Ermal Meta avesse un gruppo. È anche ingrassato un po’. Ah, non era lui?!
Sul serio, ho perso io filo quando ho sentito pronunciare le vocali. Maaaareeee.
Però il testo sembra valido.
Il Volo. No. Non ce la posso fare. La banalità del testo mi ha fatto accapponare la pelle. Alla frase “Baciami l’anima” sono andata a cercare un po’ di arsenico per riequilibrare la situazione.
Loredana Bertè. A discapito di tutto, fino a questo momento, la performance migliore. Ha cantato meglio di tutti gli altri e la canzone è moderna, disperata, orecchiabile e identificativa. Un pollice in su!
Daniele Silvestri. Canzone che vale la pensa di essere riascoltata sicuramente. Strutturata bene, originale, testo profondo e interessante, nello stile del Silvestri di sempre.
Federica Carta e Shade. Ma perché?! Sono dell’idea che le canzoni leggere servano anche a bilanciare il panorama, a soddisfare i gusti di tutti, ma al Festival di Sanremo (in cui la pubblicità dello sponsor è cantata da Mina) non posso accettare un testo che recita – testualmente:
“E ti sei messa quei tacchi
Per ballare sopra al mio cuore
Da quando hai buttato le Barbie
Per giocare con le persone”.
Ma che cos’è?!
Ultimo. Per fortuna arriva un giovane che mi fa sperare che le prospettive future non siano così deludenti (vedi i cantanti precedenti).
Ha una voce emozionata ed emozionante.
Una penna profonda, intima e sensibile.
Un grande respiro di sollievo.
Paola Turci. Allora, Paola, chiariamoci: io una giacca così non la potrò indossare mai, sai com’è: madre natura è stata troppo generosa con me. Per cui qual è motivo di esagerare in questo modo con il trucco sul tuo décolleté?? Anche meno eh.
Canzone da risentire, elegante e sofisticata.
Motta. Questi indie che ormai di indie hanno ben poco perché sono commerciali più di tutti gli altri, che fanno gli alternativi per partito preso, e che poi salgono su un palco facendo il verso a Graziani, Guccini in versione 2.0 dovrebbero anche avere l’umiltà di rivedere un attimo il tutto perché non ne sentivamo il bisogno proprio.
Boomdabash. La quota di leggerezza, dicevo sopra, è necessaria per soddisfare i gusti di tutti, ma stiamo un po’ esagerando: Sanremo non è il Festivalbar. Che poi i boomdabash mi divertono anche, eh. D’estate. In spiaggia. Con una birra ghiacciata in mano.
Briga e Patty Pravo. Pensavo che non ci fosse nemmeno una canzone Sanremese in gara quest’anno e stavo quasi per rimpiangerla, in questa corsa disperata all’esclusività. Si farebbe anche ascoltare volentieri, se Patty Pravo avesse ancora la voce per cantare. Da ascoltare nella versione studio.
Cristicchi. Appello agli altri concorrenti: se volete essere esclusivi, originali e fuori dal coro dovete avere la testa, il cuore, la penna e la profondità, la delicatezza e la sensibilità. Prendete spunto. In silenzio.
Achille Lauro. È stato presentato così: scrittura originale e innovativa. Si è fatto notare nel panorama delle nuove generazioni.
Un altro che scimmiotta altri in versione 2.0, in questo caso il cantante imitato in questione è Vasco Rossi.
Ma di che stiamo parlando?
Arisa. Canta bene e direi che questa sera è una rarità, il che per un concorso canoro è surreale. Ma la canzone è un buco nell’acqua.
Negrita. Un po’ (troppo) anni 90. “Sogni da sognare”.. ma ancora?
In mezzo al (quasi) nulla, considerando l’orario, comunque li riascolterei.
Ghemon. Una presenza scenica non indifferente e anche la canzone si lascia ascoltare. Non spicca ma non stona.
Einar. Carino, posato, timidino. Ma non è una nuova proposta per chi poco poco guarda la tv. E sicuramente non è indimenticabile. Ma considerato il livello, non stona troppo.
Ex otago. Radiofonica forse. Ma nulla di più per il momento. Non entusiasmano ma non sono il peggio.
Anna Tatangelo. Bugie, illusioni, sentimenti, litigi, anime limpide, tira e molla. Non serviva una canzone, andava bene quello che si legge su una pagina di un giornale di gossip qualsiasi per sapere tutto.
Irama. Orecchiabile, testo scritto bene, arrangiamento strutturato.
Si fa apprezzare e poi, eh, sono di parte: il coro gospel è bello da vedere e da sentire.
Enrico Nigiotti. Dovevo attendere le 00:56 per sentirmi scossa da una canzone.
Pulita, semplice. Belle metafore.
In tempi non sospetti ho creduto che questo ragazzo avesse le carte in regola per inserirsi in questo mondo.
Mamood. Non capisco. Un attimo prima mi sento speranzosa sul futuro della musica italiana, e un minuto dopo nel baratro.
Rimpiango Luca Dirisio e Paolo Meneguzzi. Ho detto tutto.
Alla luce della prima serata la mia ultima considerazione.
In questi giorni ho avuto modo di ascoltare una canzone esclusa dal Festival: “Caramelle” di Pierdavide Carone con i Dearjack.
Una canzone che tratta il tema orrendo della pedofilia lasciando fuori dietrologie, moralismi, giudizi. I colpevoli sono colpevoli. Punto. Le vittime sono solo ingenue, considerata l’età per cui si deve essere ingenui. Non vengono descritti i fatti con una sola parola fuori posto. Verità nuda e cruda che non dovrebbe lasciarci indifferenti.
Ma che invece viene esclusa dal Festival per lasciare il posto a canzoni senza una logica, senza un briciolo di originalità, scopiazzate a destra e sinistra.
Davvero, certe volte, penso che aprire le orecchie quando si ascolta una canzone, non sia sufficiente.
Giulia Scirè