Un susseguirsi di volti, caratteri, voci, vezzi, ricordi. Figure femminili iconografiche, diverse eppure sempre uguali, donne come stereotipi rivoluzionari. Femmine e donne, millenarie discendenti di Eva la primaria, madri e mogli, amanti e figlie. Inevitabile parlare di fimmine quando c’è di mezzo Luana Rondinelli, l’attrice e drammaturga dagli occhi grandi e dal corpo minuto, una “specialista” del femminile viscerale, intimo, arcaico. La Rondinelli osserva, accumula, viviseziona e metabolizza e poi crea i “suoi” personaggi, le “sue” donne, mitiche icone dei suoi spettacoli teatrali. Dopo il grande successo ottenuto con il suo spettacolo “Penelope- l’Odissea è fimmina” portato in scena al Teatro Antico di Segesta, l’abbiamo intervista a Roma dove sta preparando un altro importante lavoro teatrale.
Taddarite, Penelope, Giacuminazza. Tutte donne e fimmine come preferisci chiamarle tu, ma cosa è per te una femmina e cosa è per te una donna?
“L’essere fimmina per me è qualcosa di carnale e di viscerale. Fimmina vuol dire attaccata alle proprie radici. Fimmina è quando ti senti tale fino in fondo. Essere donna è un livello alto di consapevolezza, di empatia. Tornando a Penelope, mi viene da pensare che “la donna fa” e “la fimmina” disfà.
Penelope- l’Odissea è fimmina, è il tuo recentissimo lavoro teatrale messo in scena in agosto al Teatro Antico di Segesta, un’incantevole trasposizione del Mito riadattato o meglio riscritto a tua immagine e somiglianza. Sei d’accordo con questa mia interpretazione?
“Penelope è stata ed è una grande scommessa vinta. La “mia “ Penelope è altro rispetto all’Odissea. Io ne ho fatto una versione al femminile. Ho tramutato e reinterpretato l’attesa della donna e della fimmina e ne ho fatto una cosa mia, universale però. E’ stato un viaggio nelle emozioni.
Il debutto a Segesta è stato un successo. Diciamo che si sono verificate delle congiunture fortuite e fortunate. Ho avuto coraggio e le mie scelte sono state premiate. Penso ai Dioscuri, due maschi sui tacchi. In molti avevano perplessità su questa mia idea ma io ho insistito e ho avuto ragione. Mi è sembrata una scelta inevitabile.
A me è piaciuta “la Magnifica”, una fimmina magica che “vede” tutto e legge l’anima nei suoi anfratti più profondi e reconditi. Un personaggio di spessore. E’ colei che sente il dolore personale e universale.
“Hai ragione. E’ straordinaria, bellissima, magnifica appunto. Questa è quella che io definisco donna e fimmina sublime. Si chiama Corinna Lo Castro ed è la mia insegnate di teatro a Roma. Quando mi ha detto sì per interpretare il personaggio dello Magnifica mi sono commossa. Con umiltà ha continuato a ripetermi: siamo pari, Luana. Un’emozione unica, credimi. Mi è stata vicina emotivamente e per me è stato molto importante. Io ho quasi una venerazione per Corinna. La ammiro incondizionatamente. È di origine siciliana ed è nata a Roma, come me.
Possiamo dire che Penelope è stato uno spettacolo perfetto da riproporre in altri teatri?
“Stiamo puntando ai grossi teatri romani. A Marsala dovremmo riproporla il 31 ottobre ma devo avere ancora conferma. A Mazara dovrebbe andare in scena il 25 novembre in occasione della giornata contro la violenza sulle donne.
Non solo Penelope ma “Taddarite”, l’ineffabile spettacolo quasi surreale che in un certo senso ha segnato l’inizio di tutto. Vuoi parlarcene?
Taddarite tratta un tema pesante, molto dibattuto e purtroppo molto attuale. La violenza sulle donne non diminuisce, anzi. In “Taddarite” c’è dolore, ricordo, ironia. Voglio che diventi un film e stiamo portando avanti il progetto perché diventi per ora un cortometraggio da presentare ai vari festival del cinema. La produttrice sta contattando attrici famose e aspettiamo le loro risposte. Scriviamo e riscriviamo la sceneggiatura. È necessario rendere su pellicola e in tempi brevi il “messaggio” ovvero quello che lo spettatore sente a teatro quando le tre donne, le mie fimmine si raccontano davanti la bara del marito morto. Sarà dura. Imperativo categorico: non scivolare nella parodia e nella retorica. Le “Taddarite” sono donne e sorelle. Sono ciniche e tenere e raccontano le loro vite con impietosi flash back che spaccano, lacerano e mettono malinconia. Come già detto a essere affrontato è un tema atroce, da condanna senza appello.
Luana Rondinelli, a che età hai sentito di essere attrice anzi di volerlo essere per sempre?
Leggevo Shakespeare da bambina e mi guardavano a casa con sospetto (ride), meravigliati di questo mio essere così interessata alla letteratura, al teatro sopratutto. Shakespeare è immortale e universale: come non iniziare, per così dire da lui? Con questo tipo di atteggiamento, era quasi inevitabile che desiderassi essere attrice e scrittrice fin da piccola. Mio padre, romano doc, è stato fantastico. Una sorta di poeta che mi ha avvicinata al mondo della letteratura e sopratutto a ciò che è “il bello della vita” fra cui di certo, le buone letture. Divoravo i libri, da Jane Austen a Ibsen e lo stesso Shakespeare. Nel mio “A testa sutta” parlo proprio di questo, del mio mondo infantile fatto di libri, del mio tempo passato a guardare i maschi che giocavano giù nel cortile. L’arte per me è stato un rifugio, una liberazione. La svolta è stata quando mi sono avvicinata alle compagnie teatrali locali, a quella di Nino Scardino e a quella di Enrico Russo. Tappa inevitabile e fondamentale, ovviamente, la scuola di Michele Perriera. A 28 anni, dopo la morte di mio padre, ho deciso di andare a Roma, di provarci insomma”
E da lì, possiamo dire che è iniziata la tua carriera?
“E’ stata dura. Per mantenermi ho lavorato in una pasticceria. Qui mi sentivo “una fra un milione”. Ho iniziato a frequentare la scuola teatrale del Teatro Sistina di Enzo Garinei che però non mi ha dato tanto quanto mi aveva già dato Perriera a Marsala. Michele mi ha dato tantissimo. Credeva in me e devo dire che Corinna Lo Castro, per me è una sorta di Nume tutelare in egual misura. La pasticceria dove lavoravo era vicinissima al Teatro Valle. Finito il mio turno, entravo da una porticina in teatro e assistevo agli spettacoli dal loggione Capranica. Conoscevo tutti e mi volevano un gran bene. Per scherzo mi chiamavano la “signora Capranica” a me, che sapevo di dolci, di arancine, di cannoli, di pasticceria siciliana insomma. Che periodo!”
Sei cresciuta anche grazie a questo, no?
“Certo, è stato molto importante. Ho capito cosa mi piaceva e cosa no. E’ stata un’ottima esperienza intellettuale. Il teatro arricchisce. E poi io, dovevo e volevo farlo, figurati. E’ stato il mio respiro di vita in quegli anni di attesa, di preparazione. Nel 2011, avevo già in mente “Taddarite”ma inizialmente volevo farne un romanzo. Poi però, ho ascoltato il mio istinto e ho scritto di getto il testo. Ne uscì il monologo di Maria, una delle protagoniste, quella che dice semu nivuri cchiù nivuri ‘rà siccia. Da quel momento mi sono sbloccata, una specie di fiume in piena sono diventata”.
Tu vivi a Roma, la città eterne, cosmopolita, ma cosa ti manca di Marsala?
“Il mare. Sono nata a Roma di madre marsalese. Quando torno qui, se vado al mare, mi rassereno, mi passa tutto. Il mare è per me una specie di cura. Qui se faccio una passeggiata lungo il Tevere, non è proprio la stessa cosa”. (ride divertita).”
Sei romana, dunque?
“Sono nata qui e a due anni sono arrivata a Marsala. Sono cresciuta qua e qua ho immagazzinato tutto il mio bagaglio culturale. Poi sono ritornata a Roma, come ti dicevo, per motivi di lavoro. Mi ha fatto bene venire qui. Quello che avevo vissuto lo guardavo finalmente con la giusta distanza. E in questo caso ho potuto mettere a frutto le mie esperienze”
Hai detto che “Taddarite” diventerà un film, almeno un cortometraggio. Dove e quando il primo ciak.
“La produttrice è già volata a Palermo per prendere contatti. Mi sto battendo perchè venga girato tutto in Sicilia. L’aria che si respira qui arriva dentro la pellicola ed io questo voglio. Chi vede il film deve sentire l’atmosfera siciliana. La luce, i colori, i paesaggi, le nostre saline, luoghi irrinunciabili, credimi. Dove le trovi qui, a Roma, le trazzere tipiche della nostra terra?”
Tiziana Sferruggia