La cultura è espressione di vitalità e di vivenza, e non è un semplice, o macchinoso che sia, momento di astrazione del pensiero o di sublimazione delle intenzioni. Essa passa attraverso pensieri consapevoli che si tramutano in cose fatte e fatti: azioni, emozioni, oggetti che, quando sono già fatti, e cioè realizzati fisicamente, diventano i fatti reali della nostra esistenza quotidiana.
Il mio pensiero, spesso vagante sui muri di questa città, è stato interrotto, come per un coito di dispiacevole inutilità architettonica e strutturale, da una magnifica scritta metallica dichiarante “Panificio“, fissata sull’esterna e fatiscente parete di un, adesso garage, famoso locale di asporto di quel pane quotidiano che, negli anni sessanta e settanta, ma forse anche cinquanta, arricchiva tutti di quella cultura artigianale ed estetica che allora sembrava banalità e che oggi, a distanza di centinaia di migliaia di deprecabili insegne in plastica, forex, plexiglass o PVC, stampate tutte digitalmente, e che impoveriscono quotidianamente i nostri occhi e le nostre menti costrette a quell’inutile coito di cui sopra, rappresentano l’immagine di quel Paese in crescita e dedito allo sviluppo socio-culturale che non esiste più. E che non esista più è tanto giusto quanto riprovevole, se non ci si attiene alle regole della buona comunicazione tra gli esseri umani; comunicazione che passa anche attraverso le insegne, che come dice il termine stesso, insegnano a comprendere ciò che viene detto con chiarezza, semplicità e creatività. Posso ricordarne, insieme a questa morente, tante altre bellissime e intelligenti di insegne, già morte, che vivono soltanto nella memoria di molti dei miei concittadini attraverso la classe, lo stile, il tono e lo stupore che trasmettevano a chi ne fruiva, anche solo passeggiando per le vie del centro: “Caimi, Gasparino, Ferro, Pezzano, Trincilla, Enzo&Nino, Majorca, Bellanca e Amalfi, Fici, Rinaldo…mi ricordano tutte quante, per simpatia, sembrerà strano, uno schiaccianoci. Lo schiaccianoci americano di mia madre. Chissà perchè, poi, gli schiaccianoci, nel dopoguerra, giungessero in Italia dagli Stati Uniti. Anyway, il punto è un altro. Se oggi, 2017, vai in America, trovi ancora gli stessi schiaccianoci di allora. Sarà perchè funzionano? Sarà perchè sono esteticamente non estetizzati né modificati nella materia prima, ma colmi fino al mallo di cultura del fare, di design, di tradizione, di attenzione e di amore per se stessi e per il proprio Paese? Sarà che in tutta la loro spasmodica e, spesso, incoerente e onnivora ricerca tecnologica, gli americani si sono resi conto che oggetti frutto di uno studio ergonomico, antico e colto, magari proveniente dal Vecchio Mondo, sono ancora oggi perfettamente aderenti alle necessità per cui erano stati disegnati ottant’anni fa? Sarà per tutto questo, ma sarà per altro ancora che non solo negli Stati Uniti, ma anche in tutta Europa, riusciamo a trovare oggetti e antiche insegne di negozi o, nell’antichità ristrutturate, che riempiono ancora il cuore di emozioni che non siano di plastica, finte, illusorie, passeggere. Emozioni che hanno ancora un adesso perchè, questo, è l’unico tempo continuo di consapevolezza. Sarà così, ma da noi no! Noi siamo più moderni e più avanti degli altri popoli. Noi siamo italiani! Noi riusciamo a creare giardini, fingendo prato con moquette di feltro e oscurando la Porta storica di una città, e riusciamo a sostituire i basolati di antica pietra dura con marmi bianchi, di pessima qualità, perennemente sporchi di sgommate pneumatiche. Ciò, senza riuscire a pensare che sarebbe bastato punzonare le vecchie strade per eliminare il pericolo di scivolate, giustificazione addotta, mantenendo viva una cultura e un aspetto più rispettoso della storia. Noi no. Noi siamo italiani! Noi costruiamo nuvole che sforano sui marciapiedi, giardini che penzolano in verticale dai balconi, mercati di lamelle orientate dai venti cui si abbeverano, fischiando, i fuochi rivoluzionari di un popolo stanco di sopravvivere. E poi, beviamo solo acque imbottigliate di marchi che non ci appartengono più, tranne che per il naming del santo di turno. Noi no. Noi siamo italiani! Noi giudichiamo, e giudichiamo sempre il diverso da noi, negando a noi stessi quello status di xenofobia che pervade le nostre parole come tartaro trattenuto sui denti di chi mangia solo carne per paura di essere diverso. Noi no. Noi siamo italiani! Noi sostituiamo magnifiche insegne di storico marmo, perché ricordano il ventennio fascista, con plastiche sintetiche di un pensiero incolto e imploso nel nulla. Noi chiediamo, fino agli alti livelli istituzionali nazionali, di demolire obelischi e marmi romani come se non fossero quelle le nostre origini da cui tutto proviene, sputando ancora e ancora sulla nostra storia e sui suoi cadaveri appesi ancora e ancora a testa in giù. Noi no. Noi siamo italiani! Noi siamo siciliani. Siamo il popolo che ha vissuto il rinascimento e che è rinato e morto, siamo il popolo che ha insegnato al mondo l’arte attraverso i suoi pittori, scrittori, poeti, musicisti, e che oggi l’ha dimenticata, annegando nel digitale che rappresenta quella frontiera della modernità estrema senza più contatto con le realtà comuni. Siamo un Paese, diserbato, che perde le proprie radici giorno dopo giorno. E nessuno sembra accorgersene.
Cosa fare? Io ho la ricetta ed è semplice: “Rallentare”. La velocità ha messo un freno alla corretta e coerente evoluzione di questo Paese nazionale e di tutti i suoi meandri regionali. Fin qui. Fin dove noi viviamo aggrappati soltanto al vino, alle panelle, ai cannoli, alle iris e ai gelati: ultimi baluardi di una cultura millenaria attraverso la quale, però, rischiamo di divenire il paesino dei balocchi estivi e di essere ricordati come il popolo che volle vivere senza memoria del proprio essere, cercando nell’avere, e nella fretta dell’avere, quel futuro che è già, oggi, alla nostre spalle. E che non è più nostro. E’ ormai di altri che passano, ci attraversano fotografando noi e le nostre spazzature sui marciapiedi, ridendo, irridendo, dimenticandoci appena l’aereo che li riporta via, decolla. Noi no. Noi siamo italiani! Un popolo che si è perso nel gioco della supponenza e dell’arroganza. Per questo amiamo il calcio che, arrogantemente strapaga, col denaro di mille vite, questi nuovi gladiatori. Sì, è vero e anche giusto, amiamo il calcio, ma abbiamo tecnicamente perso: “Due a zero a tavolino”.
Sal Giampino